Recensione: Rondeau de la Forca
Musicalmente assimilabili a quel vasto movimento generalmente denominato folk metal, i Lou Quinse nascono a Torino nel 2006.
Il gruppo, a due anni dalla formazione, incide autonomamente l’EP “Lou Quinse”, al quale fa seguito, nel 2011, il primo full-length, anch’esso autoprodotto, denominato “Rondeau de la forca”.
I nove musicisti piemontesi, come già detto in apertura, si dedicano anima e corpo al folk più classico, componendo un disco simpatico e gradevole, non esente, però, da difetti.
“Rondeau de la Forca” è infatti un lavoro che, pur non inventando nulla, riesce a regalare una manciata di brani piacevoli, capaci di imprimersi sin dalle prime battute nella mente dell’ascoltatore.
Le canzoni che compongono l’album sono formalmente piuttosto semplici e lineari e, quasi tutte, alternano momenti più tirati ad altri maggiormente calmi e pacati. È proprio in questi ultimi passaggi che emergono prepotentemente i caratteri folkloristici della musica dei nostri. La vena “popolare” viene messa in evidenza dal continuo utilizzo di strumenti quali la cornamusa, i flauti, la ghironda e l’organetto.
Il songwriting si dimostra piuttosto omogeneo e raramente gli episodi emergono per trovate geniali. Se infatti dovessimo evidenziare il difetto maggiore di quest’opera, questo sarebbe, senza ombra di dubbio, l’eccessiva somiglianza delle varie tracce. Ci riferiamo, in particolar modo, proprio alle canzoni d’apertura, rispondenti ai nomi di “Calant de Villafranca”, “En passant la riviere” e “Rondeau de la Forca”. Tutte e tre presentano le medesime caratteristiche e strutture, tendendo ad apparire fin troppo simili. Le linee melodiche suonano un poco di già sentito e in generale si ha la sensazione che le composizioni osino davvero poco, pur senza risultare sgradevoli.
La situazione migliora quando invece le song si fanno più rocciose e potenti: ne è un perfetto esempio “Papa, demi la bela”, aggressiva ma sempre dotata di un piglio scanzonato. Stesso dicasi per la sesta “Diga Joanetta”, possente ed efficace dalla prima all’ultima nota.
Non male neanche pezzi più “allegri” tra cui spicca la quinta “La Femna Louerda”, dotata di un andamento da tipico pezzo da “sagra paesana”, davvero piacevole.
Come da copione non manca neanche la reinterpretazione in chiave metallica della celeberrima “Tourdion”, del compositore francese medievale Pierre Attaignant (quella che, tanto per essere chiari, ha ispirato “Donna ti voglio cantare” di Angelo Branduardi, “Towers of Doleful Triumph” dei Crown of Autumn e, non ultima, la celeberrima “March of the Swordmaster” dei Rhapsody).
Particolarità del cd sono, indubbiamente, i testi scritti interamente in dialetto franco-provenzale. Tale lingua è parlata in un’area che si estende dalla Francia Meridionale, arrivando a toccare la Svizzera francese, la Val D’Aosta e, non ultimo, proprio il Piemonte.
In definitiva, questo “Rondeau de la Forca” rappresenta il primo vero passo all’interno dell’affollato panorama discografico italiano del nine-piece torinese .
Il lavoro, pur se nel complesso mediamente gradevole, soffre di una certa staticità e piattezza a livello compositivo, che non permette ai ragazzi di raggiungere chissà quali vette qualitative.
Per essere un debut album non ci si può lamentare più di tanto e si intravedono delle buone potenzialità, che però devono ancora essere espresse a dovere. Ciò nonostante, se siete in astinenza da folk metal, questo prodotto potrebbe fare al caso vostro.
Emanuele Calderone
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Tracklist:
01- Calant de Villafranca
02- En Passant de la Riviere
03- Rondeau de la Forca
04- Papa, demi La Bela
05- La Femna Louerda
06- Diga Joanetta
07- Tourdion
08- Sem Montahols