Recensione: Rooms of anguish
Correva il 1998 quando sul mercato italiano esordì nella più totale indifferenza, causata da una promozione nulla, questa incredibile band texana, mentre tutti erano indaffarati a osannare i vari alfieri della nostra scena “eyes of the oracle” non ebbe modo di mostrare al pubblico la sua caratura. Se a questo sommate il fatto che i Power of Omens non hanno suonato dal vivo, potete considerare la difficoltà per voi di conoscere questa band. Cosa suonano i Power of Omens? Suonano prog metal ipertecnico, complessamente architettato, spesso praticamente sperimentale e del tutto fuori da ogni possibile struttura convenzionale, non ci sono paragoni possibilmente rappresentativi con altre band, se non gli Zero Hour, Spiral Architect, o certe cose dei Symphony X o degli Shadow Gallery. Il gruppo americano ha preso a modello la tecnica esecutiva portata a livelli inarrivabili in ogni strumento, voce compresa, e la massima sperimentazione in sede di composizione ne consegue un metal progressivo, estremamente complesso e oscuro, difficile da eseguire e da seguire ma proprio per questo inedito, ancora intentato, affascinante e coraggioso. Praticamente i brani dei Power of Omens non hanno nulla a che vedere con la forma “canzone” a cui siete abituati, esistono movimenti, strutture melodiche, parti di pure improvvisazioni, ritornelli cantati, e molte altre interessantissime costruzioni intrecciate, combinate in arabeschi inediti, abiziosi, volutamente criptici e astratti. Siete proiettati in una dimensione irreale costituita da negazioni delle più banali leggi fisiche, i vostri concetti di tempo e velocità verranno messi a dura prova, credetemi, anche la gravità newtoniana è qualcosa di indifferente per questi quattro funamboli che si muovono sugli strumenti in un loro campo gravitazionale separato. I nostri spaziano in una gamma di possibilità e soluzioni compositive spaventosa, sorretti sempre da una sezione ritmica imprevedibilmente dinamica e compatta, perchè sia chiaro che i Power of Omens restano un gruppo potentemente metal, troviamo uno sconosciuto Alex Arellano che è senza ombra di dubbio uno dei cinque migliori batteristi americani di oggi e si sente continuamente il suo lavoro chirurgico e ipertecnico per tutta la durata del disco. Abbiamo una costruzione chitarrisitca che ricorda molto il lavoro di Michael Romeo, ma nemmeno cotanto maestro si è mai spinto così lontano, immaginate il riffing tipico dei Symphony X, quindi dinamico e potente, unito alla ricerca melodica dei Liquid Tension Experiment di John Petrucci, forse ancora più spiccata, insomma un trionfo di tecnica e composizione, una vera esperienza di superamento dei possibili limiti del genere prog metal raggiunti fin ora. Dopo l’immancabile introduzione siamo investiti dalla imprevedibilità stilistica di “with these words” un brano in classico stile Power of Omens, complesso e potente, giocante sul refrain insolito del ritornello che si inerpica su melodie azzardate e poi lascia spazio a digressioni strumentali vertiginose. Molto più ambiziosa e sperimentale sotto il profilo compositivo “my best to be….” rivela la vera verve del gruppo statunitense che sa spingersi oltre qualsiasi limite del genere, in questo caso l’ascolto è davvero consigliato ai soli amanti della tecnica e dell’esecuzione chirurgica. Più classicamente progressiva anche se sempre molto articolata e rifinita “a toast to mankind” si ripropone sugli stilemi decisamente ambiziosi del gruppo, ottima l’interpretazione vocale che qui regala maggiore refrain al brano intero, per altro molto lungo. Splendida “as winter falls” che ci dimostra l’amore dei Power of Omens per i Queensryche, però anche qui troviamo una severa lezione tecnica ed esecutiva a dimostrare la totole indipendenza del gruppo da qualsiasi altro act in circolazione. Più incisiva e oscura, grazie a un ottimo lavoro della sezione ritmica “the calm before the storm” spicca per i continui cambi di atmosfera e per la potenza della sua produzione: qui la maturazione del gruppo appare completa e definitiva. Un vero disco nel disco si rivela “in the end”, che con i suoi venti minuti di durata si basa su vari movimenti che ricordano da vicino gli ultimi lavori dei Sympony X per poi rivelare una anima centrale orientaleggiante con tanto di vocalismi arabici affiancati a micidiali contrappunti della chitarra classica, un vero capolavoro. Più rallentata e semplice, per quanto possa sembrarlo un pezzo dei Power of Omens, “only a dream” riflette i sentimenti più intimi del gruppo rivelandosi un pezzo molto intelligente e lontano da facili soluzioni in senso melodico. Il disco si conclude con la title track, ancora una volta ricchissima di spunti e costruzioni articolate e complesse che mettono solennemente fine a questi settantasei minuti di tecnica allo stato puro, di ricerca compositiva assoluta, confermando quanto un gruppo possa spingersi lontano quando è composto da musicisti sopraffini che non riconoscono limiti alla propria ispirazione e non hanno paura di spingersi oltre. In definitva, parlo personalmente, erano cinque anni che aspettavo il seguito di “eyes of the oracle” e i Power of Omens hanno frantumato ogni mia più rosea aspettativa. Se non li conoscete ancora fatevi un favore e andate sul loro sito a scaricarvi gli otto brani tratti della loro discografia che generosamente vengono offerti liberamente a tutti. Se invece non amate la musica complessa e compositivamente ricercata fate pure retromarcia perchè i Power of Omens vanno oltre a ogni possibile classificazione in questo senso, innovativi e geniali. Eugenio “Metalgenio” Giordano