Recensione: Roots of Human Decay

Di Andrea Bacigalupo - 8 Agosto 2024 - 8:30
Roots of Human Decay
Band: Disologist
Etichetta: Autoprodotto
Genere: Thrash 
Anno: 2024
Nazione:
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75

Nati nel 2017 come Invoker, con alle spalle l’EP ‘Elegy in Pain’, i Messicani Disologist iniziano la loro vera storia nel 2021, prima ripubblicando il suddetto EP a proprio nome e ora, dopo un consistente cambio di lineup, con ‘Roots of Human Decay’, nuovo mini album di tre tracce disponibile dal 27 luglio 2024.

Il loro è un Thrash Metal contemporaneo, disturbante e incandescente, sullo stile dei moderni e crudeli movimenti provenienti dalla penisola iberica e dalla Grecia (per dare un’idea) con elementi cha vanno dai Pantera ai Voivod, passando per i Sepultura, con forti sfuriate Hardcore ed annerenti pennellate Death/Metalcore.

C’è tanta ferocia nel loro essere, ma anche una qual certa angoscia: ‘Roots of Human Decay’ è l’equivalente di un urlo a squarciagola ribelle ed indomito, che pretende prepotentemente di farti alzare la testa per contrastare l’impatto negativo che alcune infime azioni umane hanno sul nostro pianeta.

Una buona attenzione su quello che sta succedendo sul piano politico – ambientale e tanta capacità tecnica per esprimere musicalmente il proprio dissenso: gli ingredienti per dire qualcosa, per lasciare il segno, ci sono tutti, compresa la voglia di uscire da certi schemi utilizzando linee complesse ed estreme, senza, però, dispersioni date da un’eccessiva sperimentazione.

I tre pezzi viaggiano veloci, dominati da una collera tagliente ed incondizionata: lo scopo è proprio quello di infastidire, di percuotere attraverso una trama sonora a maglie strette di pura furia, composta da una voce velenosa e da chitarre irritanti e stridenti.

Non ci sono solo bastonate, però: viene anche dato il tempo per riflettere ed assimilare il messaggio durante i lunghi assoli suggestivi che, a più riprese, si insinuano nel cantato diradando un po’ il fumo dell’incendio.

Tre canzoni sono un po’ poche per capire se una band ha i giusti numeri per andare avanti o se è solo un fuoco di paglia che brucerà velocemente.

Diciamo che i presupposti sono buoni: i pezzi sono ben amalgamati ma ognuno con le proprie caratteristiche: ‘Bleeding Justice’ (con Erick Lugo dei Longhorn Skull) è un martello che batte violentemente sull’incudine, ‘Borrowed Earth’ è un’esplosione unica con dei buoni inserti melodici ed in ‘Hymn of Nothingness’ c’è anche un tocco epico.

Insomma, i Disologist ci vogliono dire che sanno fare tanto e che sono pronti ad uscire dai loro confini.

Lo crediamo anche noi. Aspettiamo l’album di debutto per le giuste conferme.

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