Recensione: Rouge
Ve lo ricordate “Imago” dei Be The Wolf? Un disco fresco, scorrevole e in grado di stare in sapiente equilibrio tra tradizione e modernità: in breve, una delle sorprese più interessanti in ambito hard rock tricolore di tutto il 2015.
Neanche un anno di distanza dall’uscita del debut ed ecco che la band milanese ci riprova pubblicando, sempre tramite la nostrana Scarlet Records, un secondo album caratterizzato da una notevole maturazione sotto praticamente tutti i punti di vista. Il trio, sempre composto da Federico Mondelli alla voce e alla chitarra, da Marco Verdone al basso e da Paul Canetti alla batteria, mette infatti sul piatto della bilancia dieci pezzi agili, veloci ed ispirati dai quali traspare un amalgama tra le varie influenze decisamente più organico rispetto al recente passato.
“Phenomenons”, “Animals”, “Blah Blah Blah” e “Shibuya” (gran lavoro di basso), con la loro capacità di coniugare con grande senso dell’equilibrio riff hard rock d’annata con le ormai familiari melodie vocali sbarazzine del Mondelli, rappresentano in questo senso i migliori esempi di uno stile più “in punta di fioretto” che non basato sulla tipica pesantezza delle sonorità attualmente in voga.
Non mollano tuttavia il colpo nemmeno le più tradizionali “Gold Diggers” e “Freedom”, la jazzy “Peeps”, l’anthemica “Rise Up Together” o la ricercata “The Game” per quanto il titolo di top track spetti assolutamente di diritto alla torrenziale semi-ballad “Down To The River”, un vero e proprio viaggio nel tempo tra hard blues anni ’70 e roots rock a stelle e strisce, arricchito da un crescendo da power ballad.
“Rouge” è, per farla breve, un gran bell’album di hard rock melodico contemporaneo, più leggero e raffinato che non tosto e groovy come per la maggiore, eppur capace di farsi certamente voler bene da tutti quanti apprezzino il Rock fatto come si deve.
Stefano Burini