Recensione: Rough Justice [30th Anniversary Edition ] Cd e Dvd
Rough Justice dei Tytan, primo e ultimo album della storia del combo londinese, uscì nel 1985 in vinile per poi venire riproposto, rispettivamente nel 2004 e nel 2006 dalla label Majestic Rock che, nella seconda reissue, ci ficcò pure un Dvd. E’ del 2015 un’ulteriore ristampa del lavoro in edizione limitata a 500 esemplari, denominata 30th Anniversary reissue, anche questa volta accompagnata da un Dvd, da parte dell’etichetta inglese Blood and Iron Records che, al solito, lo licenzia con la cura che va prestata a operazioni di recupero di codesto lignaggio. Il Cd e il Dvd vengono abbinati a un succoso libretto di ben venti pagine con tutti i testi dei vari brani – presenti per la prima volta nella storia discografica del gruppo – ottime foto della band, stralci di articoli apparsi a suo tempo sulla stampa specializzata UK e la biografia degli stessi Tytan sulla seconda facciata.
Per quanto afferente l’album, di seguito la recensione apparsa su questi stessi schermi a sfondo nero il 18 maggio 2004 a firma Filippo Benedetto. In coda alle dodici tracce originarie trovano spazio, nella riedizione Blood and Iron Records, quattro canzoni a mo’ di bonus track, suonate dalla band durante il marzo del 1982 presso la BBC per il mitico “Friday Rock Show” britannico. Il Dvd riporta fedelmente un intero concerto dei Tytan dello stesso anno a Londra. La qualità è quella che è, ovviamente, così come il responso del pubblico in termini numerici ma, come ben si sa, in questi casi quello che conta davvero è la testimonianza di un momento, di un’epoca e di sapori che mai più torneranno. L’ensemble messo in piedi nel 1981 dai transfughi Kevin Riddles e Dave Dufort – entrambi ex Angel Witch – che poi all’interno della propria line-up ha visto passare gente del calibro di Kal Swan (poi nei Lion), Les Binks (ex-Judas Priest/Lionheart) e Simon Wright (Ac/Dc e Dio) con Rough Justice ha scritto uno dei capitoli heavy rock più fulgidi all’interno di quel periodo che venne definito come Nwobhm: un gran calderone di stili e influenze. La proposta dei nostri, un mix fra Heavy Load, Iron Maiden, Praying Mantis e Dio, ingentilita dalle qualità di un singer come lo stesso Kal Swan ha rappresentato il contraltare melodico – sempre in ambito duro e puro, sia chiaro – alla violenza biker dei rozzissimi Saxon, alla velocità dei Tank e alle concessioni sulfuree di band quali Angel Witch e Witchfinder General, solo per citare quattro band di numero. Nonostante siano passati trent’anni, pezzi quali Cold Bitch, Blind Men and Fools, Money for Love e Women on the Frontline scaldano ancora sia il cuore che l’anima, alla grande…
Stefano “Steven Rich” Ricetti
E’ curioso come la storia della Nwobhm, acronimo della New Wave of British Heavy Metal, sia anche una vicenda nella quale le storie personali (e artistiche) di musicisti o band si intrecciano vicendevolmente. La carriera degli Iron Maiden, per esempio, è stata in qualche modo, soprattutto nei primi anni della carriera del combo, intrecciata a quella dei Samson. Ma potremmo prendere ad esempio altre esemplari “storie”: gli Angel Witch, i Praying Mantis o i Tytan. Questi ultimi, in particolare, possono essere considerati in qualche modo un progetto nato da una “costola” degli Angel Witch. Infatti due membri originari di quest’ultima band, Kevin Riddles e Dave Dufort (quest’ultimo militò anche nella promettente E.F. Band), fondarono questo interessante gruppo pienamente inquadrabile nella corrente NWOBHM. Dopo un EP di debutto nel 1982 intitolato “Blind Men and Fools” (contenente oltre alla title track, altri due brani), la band riuscì ad ottenere un contratto discografico per la produzione del primo (ed unico) full length, dal titolo “Rough Justice” (1985). Al momento della registrazione di quest’ultimo disco, è bene ricordarlo, Dufort abbandonò il gruppo venendo rimpiazzato da Les Binks (ex Judas Priest). L’heavy metal proposto in questo album è particolarmente interessante poiché in esso la band riesce a inserirvi, in egual misura, ingredienti come potenza e melodia, il tutto arricchito da qualche divagazione “ironica” stuzzicante.
La copertina di questo “Rough Justice” rimanda decisamente a temi epici, raffigurando un cavaliere nel atto di brandire un’ascia, il tutto sotto uno sfondo “fiammeggiante”. Ma passiamo all’analisi del disco.
In apertura troviamo “Blind Men and Fools”, brano accattivante giocato su un riffing efficacemente sostenuto da una base ritmica che calibra a dovere parti più sostenute con momenti più rilassati. Il refrain principale del pezzo si stampa subito in mente, essendo costruito su una melodia coinvolgente. L’assolo si innesta bene e in maniera opportuna lungo le linee portanti del brano e “trascina” lo sviluppo del pezzo a degna conclusione. La successiva “Money for Love” è una song grintosa e dalle armonie che anche questa volta sono costruite per fare subito presa sull’ascoltatore, merito di cori che, nel refrain, riescono a tenere alta l’attenzione. Anche qui notiamo una prova in fase solista degnamente espressa, dimostrando una certa freschezza da parte del combo in fase di songwriting. “Women on the Frontline” viene introdotta da un frizzante riffing senza distorsione, presto sostituito da uno di più diretto e potente impatto. Quello che colpisce di questo combo è il riuscire a dare un’impronta sicuramente “heavy” alle proprie song, alternandole ad aperture melodiche molto “positive”, creando un felice contrasto “cromatico”. Un riffing più aggressivo, sostenuto da un drumming dinamico e potente, introduce alla seguente “Cold Bitch”. Questa track risulta essere una interessante “cavalcata sonora” dove il ruolo centrale lo svolgono vocal calde e chitarre ritmiche “graffianti”. Con “Ballad of Edward Case” ci troviamo di fronte ad una splendida traccia dove la band dimostra abilità nel saper intrattenere l’ascoltatore assestando riff diretti e aggressivi, quasi senza lasciar respiro. Il tocco di genio giunge all’ascolto di un simpatico coretto (sembra quasi da osteria) che si innesta improvvisamente nella song, creando una certa suspense. La sesta traccia, “Rude Awakening”, è giocata su tempi molto cadenzati sui quali si stende un riffing cupo e pesante. Molto interessante la parte solistica, che sembra dilatare la cupa forza persuasiva del brano. Il fascino di questa canzone, in sostanza, sta nella sapiente miscela di atmosfere cupe rese maestose da un lavoro chitarristico suggestivo. Passando a “The Watcher”, la band concentra l’attenzione dell’ascoltatore su temi musicali non troppo distanti da questi tratteggiati nella precedente song, alleggerendo leggermente i toni cupi ma senza attenuare, però, la potenza espressiva. Molto ben studiato l’inserimento degli assoli che donano dinamismo alla song compattandone il sound complessivo. Ben costruita la seguente “Far Cry”, dove la band dimostra capacità di intrattenere l’ascoltatore con un riffing sempre in bilico tra i canoni tipici della NWOBHM e un certo melodic rock elegantemente proposto.
Introdotta da un lieve arpeggio sul quale si stendono “delicate” vocal, “Sad Man” irrompe con un riffing pesante e a tratti sofferto. Il lavoro chitarristico è giocato quasi interamente su tonalità basse, donando appunto un senso di “drammaticità” molto riuscito. In chiusura interverrà nuovamente il sussurrato arpeggio introduttivo, chiudendo soffusamente la song. “Forever Gone” cambia nuovamente atmosfera, sviluppandosi lungo ritmiche incalzanti e un deciso riffing heavy rock. Le vocal interpretano bene la vitalità espressa dalla song che scorre tranquillamente sul lettore, deliziando. Una suggestiva intro, ancora una volta costruita su un morbido arpeggio, ci introduce all’ascolto della penultima “Don’t play their way”, song che poi subirà un cambio di atmosfera grazie ad un riffing roccioso sul quale si stendono “calde” vocal. Molto bella la parte, quasi in contrasto con il resto della canzone, in cui la track riprende il tema iniziale per poi trovare sbocco in assolo melodico e convincente. Chiude l’album la vivace “Far Side of Destiny”, brano giocato su ritmiche sostenute e molto efficaci sulle quali si stende un riffing pieno di brio, potente e diretto. Come ormai prassi consolidata del disco, non manca di stupire un assolo ispirato e ben impostato che incrementa il fascino complessivo della traccia.
In conclusione, questo “Rough Justice” è un disco molto interessante che non potrà far altro che entusiasmare gli amanti della cosiddetta NWOBHM e conquistare i cuori di coloro i quali prediligono un heavy rock ben interpretato da una band purtroppo non molto conosciuta, ma sicuramente degna di nota nel firmamento HM dei primi anni Ottanta.
Filippo Benedetto
Kevin Riddles