Recensione: Roxin’ Palace
Davvero un ascolto piacevole questo debut album dei Roxin’ Palace, hard rock band friulana che mostra nel DNA profonde radici scandinave ed una seria infatuazione per tutto ciò che ne è accostabile in termini musicali.
Potrebbero tranquillamente provenire da Stoccolma ed essere un side project prodotto da uno qualsiasi dei membri di Crazy Lixx o Crashdiet. Lo stile, l’attitudine, il modo di usare le chitarre, i ritmi: tutto parla la lingua che è stata negli anni ottanta il segno distintivo del Sunset Boulevard e di band quali Mötley e Poison, per poi, anni dopo, spostarsi di latitudine, solcare gli oceani e prendere domicilio nella più fredda ma altrettanto ribollente Scandinavia.
Attrezzati di nomignoli da tipico scenario sleaze glam, abbigliati con l’immagine inequivocabile da rockers ma, soprattutto, dotati di una verve ideale nell’allestire una convincente serie di hookline dai sapori hard rock, lineari, testosteronici ed orecchiabli, i cinque giovani discepoli di Nikki Sixx e Vince Neil realizzano un cd d’esordio dai toni per lo più scorrevoli e disimpegnati in cui, al netto di una formula che inevitabilmente paga dazio a stilemi già arcinoti, non difettano freschezza e buone idee. Un patrimonio in termini pratici, del tutto imprevedibile e piuttosto raro agli esordi, in particolar modo se riscontrato in un ambito in cui – per tradizione e convenzione – le novità e gli spunti originali sono banditi in modo completo, a definitivo vantaggio dell’energia e della forza d’urto.
Bella sorpresa: i Roxin’ Palace sono italianissimi e possiedono l’uno e l’altro. Grinta in dosi importanti e songwriting che scorre veloce senza mostrare troppo il fianco a strascicamenti e banalità, lasciando andare a briglia sciolta un hard rock amabile e sincero che non inventa nulla, eppure risulta corroborante e piacevole come una brezza estiva.
Melodie in quantità copiose, come ovvio. Tante le soluzioni che strizzano l’occhio al coro facile e d’impatto, mediate dalla ruvidità dei riff prodotti dalla coppia Slaver / Crown, solida squadra di guitar player, essenziali, non eccessivi nei virtuosismi e negli assolo ma comunque in grado di arricchire con buon gusto i brani, fornendo una gamma di accordi utili nel sottolinearne le armonie.
Tra questi, “Wildest Party”, “We Are Losing Both”, “Gothic L.A.” (ottima ballad, per una volta al riparo da eccessive melensaggini) e la conclusiva “Tears On The Road” guadagnano, su tutti, una menzione di merito, assurgendo al ruolo di episodi superiori e di maggior resa (ottimi e molto ben studiati sono senza dubbio i ritornelli), non troppo distanti proprio dal tipico stile attualmente in voga nello scenario rock nord europeo.
Poche divagazioni, scaletta asciutta composta di soli dieci pezzi (anche il mostrarsi diretti e ben focalizzati sull’obiettivo può essere un pregio notevole in campo hard rock) e qualche piacevole idea melodica. Il resto lo fanno una produzione dei suoni più che dignitosa, la bella voce del singer Axel – una sorta di Simon Cruz tricolore – ed un taglio decisamente fluente delle canzoni.
La somma offre il risultato riassumibile nell’efficace debutto di una band non certo sprovveduta e priva di carattere, pronta a mettere in mostra un repertorio consono alle orecchie ed alle esigenze degli appassionati di settore.
Operazione esordio riuscita insomma. I fan dei già citati Crazy Lixx e Crashdiet, sentitamente ringraziano…
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