Recensione: Rubidium

Di Alessandro Ebuli - 19 Ottobre 2013 - 12:00
Rubidium
Band: Maschine
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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85

Terminato l’ennesimo ascolto di “Rubidium” non esistono più dubbi: le vie del prog sono infinite. Se “progressive“ è da intendersi nel senso letterale come sperimentazione, allora i Maschine hanno fatto centro perché questo album è incredibilmente variegato e multiforme.
Sette tracce in totale, due delle quali poste in chiusura della release a formare una “suite” divisa in due atti.

Ma procediamo con ordine.
Per comprendere al meglio le molteplici sfaccettature di “Rubidium” è sufficiente citare le comuni influenze dei musicisti, basilari per il suono globale della band: Pain of Salvation, Opeth, Dream Theater, alle quali vanno aggiunti gli innumerevoli altri ascendenti di ogni singolo membro del gruppo. A questi nomi altisonanti ed importanti del panorama prog metal i musicisti fondono riferimenti jazz, acid jazz, trip hop in odore di Massive Attack ed improvvisazioni totalmente free, il tutto colorato con pennellate pop d’autore dal quale emerge la splendida voce femminile di Georgia Lewis, impegnata anche alle tastiere, sospesa tra cori e controcanti degni dei migliori Anathema.

Nella prima traccia del disco “The Fallen” incontriamo sonorità care ad Opeth e Dream Theater, dove la parte vocale in puro stile Pain of Salvation dona alla canzone un sapore “tribale”; un finale evocativo giocato tra chitarra e pianoforte preannuncia quanto troveremo nel proseguo del nostro viaggio. Gli otto minuti abbondanti della Titletrack sono un compendio dell’opera Opeth, un ibrido posto tra “Damnation” e “Ghost Reveries”, magistralmente reinterpretati e proposti in una veste personale che non fa certo rimpiangere gli originali.
“Invincibile” è introdotta da una chitarra acustica nella quale si inserisce la voce maschile; inizio etereo e suggestivo con reminescenze dei “The Tangent” (band nella quale ha militato Daniel Mash, basso e voce) e di Neal Morse (in particolare del capolavoro “Testimony”) che vira verso un prog estremamente elegante e melodico, non lontano da certo moderno pop autorale. Il flauto folk stile Jethro Tull può solo rafforzare questa eleganza evidentemente insita nelle corde dei Maschine.
Pare invece estratta dallo stupefacente “Scarsick” dei Pain of Salvation l’energica “Venga”, una classica prog song nervosa dall’incedere diretto, marziale e deciso, ma scorrevole grazie ad inserti toccanti e drammatici dati dalla forza evocativa della voce di Georgia.

La successiva mini suite “Eyes Pt 1 & 2”, per un totale di circa 14 minuti di durata, propone una varietà di suoni e spunti notevoli: i soliti Dream Theater e Pain of Salvation per l’impostazione prog classica, ma sono le virate free, gli scatti ed i controtempi, le atmosfere eteree alternate a fughe metalliche a fare la differenza, un insieme di stili abilmente miscelati con indovinati controcanti femminili, accelerate epiche ed improvvisi “stop and go”.
Una perla di sperimentazione. Il capolavoro dell’album è però “Cubixstro”, volutamente lasciata in ultima analisi, quasi nove minuti nei quali la libertà espressiva raggiunge vette di abilità compositiva fuori dal comune. Partendo da una base di prog classico in stile The Tangent e Flower Kings con vocalità alla Pain of Salvation, ci imbattiamo in labirinti di pura sperimentazione sonica dai forti richiami ai Porcupine Tree, mentre la voce femminile si contende le linee melodiche principali con quella maschile in una sorta di rincorsa; inoltre suggestivi movimenti acid jazz si alternano ad affascinanti chitarre acustiche, libere di addentrarsi in  territori di autentica libertà espressiva, e fumose sonorità trip hop emergono prepotenti nel finale del pezzo smontando e distruggendo qualsiasi schema precostituito di progressive fino ad ora conosciuto.

Geniale, moderno, innovativo, evocativo, brillante. Aggettivi forti che non riescono comunque a descrivere pienamente questo capolavoro di contaminazioni sonore.
Alla voce “Rubidium” il dizionario del “new english prog” risponde: “evocativo quadro nel quale le luci dell’innovazione si rincorrono e si sovrappongono fino a creare un’immagine che l’ascoltatore potrà plasmare su di sé in funzione dei propri riferimenti personali e stati d’animo”.
L’eterogeneità di quest’opera d’arte mostra come sia possibile ancora oggi potersi reinventare musicalmente attingendo da molteplici influenze, senza per questo rischiare di inciampare nei banali clichè di un genere musicale fin troppo saccheggiato.

I Maschine hanno saputo osare ed il loro coraggio unito ad una naturale genialità li ha proiettati nell’Olimpo dei migliori del 2013.
Provare per credere.

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