Recensione: Ruff Justice

Di Fabio Vellata - 22 Aprile 2017 - 17:19
Ruff Justice
Band: Crazy Lixx
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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80

È l’ennesima bella operazione di riuscito revival quella che confezionano sapientemente i Crazy Lixx, band svedese ormai annoverabile tra le fila dei veterani del rock continentale, in virtù del quinto album pubblicato in una carriera iniziata giusto tre lustri fa.

Se non ci fossero scritti a caratteri cubitali il nome del gruppo e dei musicisti coinvolti (tra l’altro cambiati in parte dopo l’omonimo disco del 2014) avremmo tranquillamente pensato ad un cd pubblicato da qualche formazione reduce dai gloriosi eighties. 
O, ancor di più, ci saremmo soffermati a fantasticare sul come, dopo tutto, anche a distanza di venticinque anni, i Firehouse siano ancora in grado di cogliere al volo la giusta miscela tra melodia accattivante e sfrontatezza glam, mettendo in fila una decina di pezzi orecchiabili, facili ed attagliati alla perfezione per un mercato d’alta classifica.

Dopodiché sarebbe toccato risvegliarsi, riprendere coscienza della data e familiarizzare con l’idea che questi non sono affatto i Firehouse, che le classifiche attuali non sanno minimamente che farsene dell’hard rock melodico e che questo è un manipolo di adorabili nostalgici venuti dal nordeuropa. 
I quali, peccato per loro, fossero stati attivi a cavallo tra anni ottanta e novanta, avrebbero forse beneficiato di un consenso decisamente più ampio e di dati di vendita non destinati a rimanere confinati nel confortevole ma ristretto ambito dell’underground.

Coerenti ma in qualche misura diversi dalle loro più recenti uscite, Danny Rexon e compari mantengono dunque la rotta fissa sull’esemplare melodic rock di ampio impatto, mostrando il consueto “appetito” melodico che però, per stessa ammissione della band, va a ricongiungersi con i versanti realmente più ottantiani dell’anima dei Crazy Lixx
Quelli, per esplicitarne le forme con chiarezza, che si erano un po’ persi dopo il bellissimo “New Religion”, platter che, ad oggi, rappresenta forse l’espressione migliore manifestata dal quintetto di Malmö.
Un respiro smaccatamente “vintage”, un desiderio per nulla nascosto o dissimulato d’avvicinarsi a quell’universo musicale ne troppo mieloso ne eccessivamente ruvido che era un trademark inconfondibile di gran parte della produzione di fine anni ottanta. I già citati Firehouse, l’Alice Cooper di Desmond Child, il Bon Jovi prima maniera, gli Wasp più accattivanti: capisaldi e riferimenti in cui è estremamente facile imbattersi scorrendo le tracce presenti in questo “Ruff Justice”.
Un caso forse, che proprio il pezzo d’apertura sia intitolato “Wild Child”, come un celeberrimo successo scritto tanto tempo fa da Blackie Lawless: non si tratta – come ovvio – di una cover, ma è parecchio indicativo di come i Crazy Lixx vivano letteralmente “imbevuti” di quelle che sono state le atmosfere gloriose dell’epoca d’oro dell’hair metal.

Scorrendo qua e là, in una panoramica comunque uniforme nell’orecchiabilità dei tratti e nella scorrevolezza dei contenuti, emergono alcuni guizzi che rendono plausibile e verosimile lo spirito così apertamente retrò dei Lixx. Un brano come “Walk The Wire” vale più di ogni spiegazione: aria tersa, vento tiepido, colori estivi. Un’armonia che si appiccica addosso e racchiude, in poco più di cinque minuti, tutto il campionario di suoni ed immagini che hanno fatto la fortuna del melodic rock venato di AOR.
Nulla da stupirsi poi, se tra le pieghe emergono riferimenti a Skid Row, Black n’Blue, Trixter, Cinderella (il tempo medio di “Killer”, quasi potrebbe essere opera loro) ed ai soliti Danger Danger: “Ruff Justice” pare proprio una sorta di “fiera dell’hair metal”, in cui poter riconoscere almeno un pezzetto di tutte le grandi realtà che hanno calcato le scene di quel dorato periodo.

La considerazione che viene da se, al termine dell’ascolto plurimo delle canzoni contenute in questa nuova uscita dei Lixx è, senza dubbio, riferibile ad una evidente derivabilità della proposta, mai come in questo caso tutt’altro che originale e devota a determinati canoni stilistici al punto da esserne quasi una manifesta emanazione.
Costruita e condotta tuttavia, con un piglio ed una convinzione tali da riuscire quasi ad affrancarsi dall’immancabile effetto “deja-vu”, favorendo piuttosto un’idea di autentica passione, quasi come se realmente, i tempi fossero ancora quelli ed i Crazy Lixx una band “capofila” attiva proprio nell’epoca d’oro del melodic rock.

Una piccola “magia” che se ne infischia del tempo che scorre e riesce a rendersi fresca e credibile nonostante tutto, al di la di ogni possibile illazione in merito a quanto possa essere opportuna e ad una ipotetica mancanza di personalità.

 

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