Recensione: Ruination

Di Luca Trifilio - 25 Luglio 2009 - 0:00
Ruination
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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87

Il battage pubblicitario intorno ai Job For A Cowboy non dà segni di cedimento. Questi ragazzi, provenienti dall’Arizona, hanno sin dai loro esordi saputo creare intorno al loro nome un notevole interesse, sfruttando al meglio l’esplosione del fenomeno MySpace e riuscendo ad attirare l’attenzione dapprima dell’etichetta indipendente King Of The Monsters, che ha pubblicato l’EP di debutto Doom, e poi della Metal Blade, label che tuttora cura gli interessi degli americani. E’ bene metterlo subito in chiaro: al di là delle abilità dei marketing e della furbizia nel saper vendere al meglio il proprio prodotto, i JFAC hanno dalla loro una caratteristica indubbia, vale a dire il talento. Talento già dimostrato col primo full-length, Genesis, un lavoro che abbandonava in parte le influenze -core dell’EP, dando più spazio al loro death brutale, roccioso e strutturato. Talento che, ancora una volta, viene confermato da questo nuovo platter, che porta la band ad un livello superiore per quanto riguarda la qualità del songwriting.

Ruination vede il debutto su disco di Jon “The Charn” Rice, batterista della band sin dai tempi del tour di Genesis, e di Al Glassman, ex chitarrista dei Despised Icon che ha sostituito a fine 2008 il defezionario Ravi Bhadriraju. Non ci troviamo al cospetto di un disco semplice, in quanto richiede qualche ascolto per essere digerito e compreso appieno, ma il tempo dedicatogli non sarà sprecato, in quanto ciò che vien fuori man mano che si procede con gli ascolti è un prodotto di notevole valore. Stilisticamente, i Job For A Cowboy riprendono alcune delle sfumature deathcore degli esordi, in particolare nell’utilizzo della voce, con Jonny Davy che alterna ripetutamente growl e scream, anche all’interno dello stesso verso. I brani sono caratterizzati da dinamiche ancora più elaborate rispetto al passato, con frequenti quanto repentini cambi di tempo ed una varietà che dà freschezza e respiro all’intero album: sarà difficile annoiarsi ascoltando brani come Constitutional Masturbation o To Detonate And Exterminate, giusto per citarne un paio da una tracklist che non presenta filler o passaggi a vuoto. Se in Genesis le caratteristiche principali erano l’impatto frontale e la rocciosità, che lo rendevano nel complesso un disco monolitico, in Ruination i nostri riescono ad infondere una varietà di songwriting, di strutture e di pattern ritmici tale da soddisfare anche il più navigato ed esigente ascoltatore. Anche a livello di produzione, curata da Jason Suecof, e di artwork, Ruination setta i nuovi standard per la band americana. A dirla tutta, questo Ruination non è un prodotto estremamente innovativo o sconvolgente, è semplicemente un album ben suonato, ben composto e ben presentato al pubblico, e sancisce inoltre l’ascesa dei Job For A Cowboy nel firmamento della nuova ondata di band estreme, posizione che meritano in virtù di una crescita, sia tecnica che qualitativa, che appare inarrestabile, tanto da fare sperare in un capolavoro già dietro l’angolo.

Tirando le somme, Ruination si candida con decisione al titolo di migliore uscita death del 2009, facendo fin d’ora piazza pulita di una buona fetta di concorrenza, sia per quanto riguarda i gruppi giovani sia per le vecchie leve agli sgoccioli. Chiunque suoni musica estrema, oggi come oggi, deve misurarsi con i Job For A Cowboy.

Luca Trifilio

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Tracklist:

1.    Unfurling A Darkened Gospel    03:43   
2.    Summon The Hounds    03:51   
3.    Constitutional Masturbation    03:35   
4.    Regurgitated Disinformation    04:46   
5.    March To Global Enslavement    06:05   
6.    Butchering The Enlightened    03:30   
7.    Lords Of Chaos    03:36   
8.    Psychological Immorality    03:08   
9.    To Detonate And Exterminate    03:22   
10.    Ruination    04:55   

Line-up:

Jonny Davy – voce
Bobby Thompson – chitarra
Al Glassman – chitarra
Brent Riggs – basso
Jon “The Charn” Rice – batteria

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