Recensione: Ruins Of Gomorrah
Sepultura.
Una delle band fondamentali del metal estremo e, soprattutto, il motore primigenio che ha dato il la, alla fine degli anni ’80, inizi anni ’90, a un movimento thrash/death dalle proporzioni ciclopiche. Soprattutto, ovviamente, in America Latina. Dove, come funghi dopo la pioggia, sono spuntati centinaia di gruppi che hanno fatto del verbo dei fratelli Cavalera la loro ragion d’essere. Uno stimolo che la Storia del metal non ha potuto che archiviare come irresistibile, a prescindere dalle relative motivazioni. Fra tutti questi epigoni dei quattro di Belo Horizonte sono state parecchie, poi, le realtà sudamericane che hanno avuto una carriera contrassegnata da buoni successi.
Come i cileni Undercroft. Formatisi nel 1993 a Santiago, nel 2000 hanno dato alle stampe un full-length, “Danza Macabra”, il cui riscontro è stato così positivo da rendere necessario il loro trasferimento in Germania per garantire gli stessi standard qualitativi e provare a uscire dall’underground. Dopo il 2006, qualche problema di troppo con la line-up ha minato la loro sopravvivenza ma ora, con il rientro del membro fondatore Alvaro Lillo, è il momento di riaffilare le armi e buttarsi in battaglia. Con un album nuovo di zecca, “Ruins Of Gomorrah”.
Con tale premessa si potrebbe pensare agli Undercroft come a un qualcosa di trito e ritrito, oppure a un clone senz’anima. Invece, Lillo e i suoi due compagni rivelano un carattere assolutamente singolare, tale da distinguerli con decisione dalla miriade di proposte analoghe. Non si tratta quanto di originalità nello stile, invero abbastanza rigido nella riproposizione dei toni bui e oscuri dell’old school death metal, quando di cuore e di personalità, appunto. Cile, Colombia, Guatemala e soprattutto Messico sono i paesi dai quali provengono certe esagerazioni che hanno fatto del brutal e del porn/gore grind un fertile terreno di conquista. Pur mantenendo i temi incentrati sui soggetti tipici del ‘dark death’ quali per esempio l’anti-cristianesimo, la morte o la guerra, i Nostri lasciano ben vedere quella aurea di ‘cattiveria’ musicale così rappresentativa dei loro consanguinei che parlano la medesima lingua madre. Dipingendo, in particolare, “Ruins Of Gomorrah” con uno spesso velo di tenebra sì da farlo avvicinare, in più di un’occasione, al leggendario sound che, a metà degli anni ’80, mischiava ancora – in una sorta di brodo primordiale da cui dovevano evolversi i singoli componenti e pure il death – black e thrash. I morbosi intarsi eseguiti da Lillo con la chitarra acustica (“Intro (SLM)”, “Ruins Of Gomorrah”, “Outro (Drained By Succubi)”) sono proprio lì, per questo; così come certi passaggi ‘hardcore-iani’ (e quindi si torna ai Sepultura…) sembrano messi apposta (“El Triunfo De La Muerte”) per far diventare più spigoloso e arcigno possibile il lavoro.
Lavoro che presenta una compattezza notevole e una buona profondità, nel senso che pur essendo presenti delle song violentissime (“Legions Of Beelzebub”, “Empalando Al Invasor”), tormentate dalla velocità dei blast-beats, si percepisce anzi si palpa un costante senso di angoscia, d’inquietudine; frutto evidente di un’ottima capacità dei cileni nel cogliere i sentimenti più distorti e paurosi dell’animo umano. La classe dei tre, inoltre, si manifesta nella precisione esecutiva e nel raggiungimento di quel marchio di fabbrica che identifica, come unico, il sound di un ensemble. Classe che mette il becco anche nel songwriting, ma non così efficacemente come dovrebbe e potrebbe essere. Il livello è più che discreto, sia chiaro, tuttavia – a lungo andare – il platter provoca un po’ di stanchezza. Forse sono le linee vocali, tendenti a una leggera monotonia, oppure la già menzionata asprezza degli accordi e quindi delle armonie, spesso dissonanti e totalmente scevre da qualsivoglia accenno melodico.
Insomma, “Ruins Of Gomorrah”, pur manifestando un gran mestiere e un’ottima coesione artistica da parte degli Undercroft, fatica a decollare. Si tratta di quel qualcosa in più d’indefinibile che manca per fare di una buona realizzazione un’impresa memorabile. Con che, alla fine, il target del CD si restringe ai soli appassionati del genere.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. Intro (SLM) 0:37
2. El Triunfo De La Muerte 4:36
3. At The Gardens Of Hatred 4:43
4. Black Magik Witches 5:54
5. Dead Human Flesh 4:24
6. Ruins Of Gomorrah 5:23
7. Legions Of Beelzebub 2:37
8. The Art Of Vengeance 5:08
9. Empalando Al Invasor 5:38
10. Outro (Drained By Succubi) 2:40
11. The Beast (Bonus Track – Twisted Sister cover) 3:27
Durata 45 min.
Formazione:
Alvaro Lillo – Voce, basso e chitarra acustica
Claudio Illanes – Chitarra
Pablo Cortes – Batteria e percussioni