Recensione: Run for Cover
Siamo esattamente alla metà degli anni ’80. L’heavy metal nel senso originale del termine è ormai un genere più che mai radicato e solido, tanto da iniziare a sfociare in diverse ramificazioni che porteranno al vasto numero di sottogeneri che la maggior parte di noi ascolta. L’Hard Rock non vuole però cedere il passo al “figlio”, continuando a proporre, evolvendosi anche lui in numerose correnti e portando alla ribalta più o meno rinomati supergruppi (lasciandone tante altre nel semianonimato). E’ circondato da questi cambiamenti che arriva quello che è uno dei dischi della svolta di Gary Moore, “Run for Cover”.
Perchè della svolta? E’ presto detto : in primo luogo lo stile, che dopo la terrificante (per lui) ruvidezza di “Dirty Fingers” torna ad essere molto più pulito e cristallino (benchè deciso), ma non solo; inziano anche a prendere grande importanza, rispetto al passato (e in totale sintonia col periodo), le parti tastieristiche, che diventano seconde solo alla sei corde del nostro axeman. La seconda novità si trova nei numerosi innesti nella line-up. In Run for Cover infatti vi sono più partecipazioni che in ogni altro lavoro di Moore. Si pensi che furono impiegati addirittura 4 produttori (Andy Johns, Peter Collins, Mike Stone and Beau Hill), mentre fra i musicisti si ha solo l’imbarazzo della scelta : Ruoli determinanti hanno infatti Phil Lynott, Glenn Hughes e Bob Daisley al basso, i tastieristi Don Airey, Neil Carter, Andy Richards e i batteristi Charlie Morgan, Paul Thompson e Gary Ferguson. Un vero e proprio squadrone, che rende il prodotto decisamente vario, ma sempre bellissimo (non a caso si ebbe il ritorno nelle charts dopo un pò di latitanza). Sì bellissimo perchè, come tutte le opere precedenti (e le successive) del nostro, anche Run for Cover è un disco che lascia a bocca aperta, un mix di stile, classe, tecnica, potenza, emozioni.
L’opener, la titletrack, già fa capire cosa ci si dovrà aspettare : intro di tastiere funambolica preludio a una selvaggia cavalcata fra riffs, refrains (forse la parte più coinvolgente) e assoli di primissima categoria. Più pacata, ma comunque accattivante, anche “Reach for the Sky”, che parte con un possente assolo introduttivo di Gary, che cede poi il testimone a Hughes, autore di un’ottima prova. La song si sviluppa poi in un mid-tempo molto bluesy e tiene compagnia per oltre 4 minuti e mezzo, preludio alla terza grossa novità di Moore : le tematiche patriottiche. Se infatti agli albori della sua carriera erano solo sporadiche, da qui in avanti esse diverranno temi dominanti delle sue liriche. Prima fra queste è la tristissima “Military Man”, canzone antimilitaristica per eccellenza che narra di un ragazzino addestrato per combattere ed uccidere, ma che poi capirà a cosa va incontro. Strumenti dominanti sono inizialmente basso e batteria, ma il culmine si raggiunge nel tratto centrale, con dolce arpeggio/assolo accompagnatore dei pensieri futuri del nostro “Papa&mama boy”, struggente a dir poco. Quarto brano (e uno dei singoli del platter) è una riedizione in chiave moderna di quella “Empty Rooms” che mai ha smesso di infiammare i cuori dei fans di Moore. “Condita” da un video niente male, questa versione è decisamente più pop della precedente (grazie alle keyborads di un ottimo Carter, allora agli UFO), oltre che più corta, ma lascia comunque lo stesso piglio triste, romantico e sognatore che rese grande la prima release. Certo non c’è il mitico assolo di basso (il clamoroso l’arpeggio centrale, benchè breve, invece c’è), tuttavia ci sono state riedizioni ben peggiori. Ritorno a ritmiche più sostenute con l’elegante ma decisa “Out of My System”, canzone forse di passaggio nel complesso del prodotto, ma sicuramente più che valida, buon antipasto per quello che probabilmente è stato il pezzo (e singolo) più importante e famoso di Moore, l’enorme “Out in the Fields”. Anche qui abbiamo la partecipazione (l’ultima prima della prematura morte) di Lynott (guardacaso altro ragazzo irlandese), per un pezzo che, partendo dalla difficile situazione irlandese in quanto a guerra civile, diventa una vera e propria canzone sulla fratellanza, denunciante rivalità, razzismi e tutto ciò che ne consegue. La canzone è spettacolare anche per l’enorme carica energetica che sprigiona (veramente più unica che rara), carica a mio avviso data dalla superba prestazione di Charlie Morgan dietro le pelli. Un must in definitiva, seguito dalla più modesta, ma comunque eccellente, “Nothing to Lose”, forse il pezzo musicalmente più ruvido del lotto. Benchè piuttosto lento, il riff portante è infatti decisamente graffiante (e bluesy) e ben accompagnato da un cantato deciso e da alcuni assoli pungenti, che rendono la canzone ancora più “cattiva”. Più sbarazzina e scanzonata è “Once in a Lifetime”, che si distingue per le ottime keyboards, i cori e uno stile molto “hair”, che da lì a poco sarebbe divenuto a dir poco padrone delle scene. Penultima, ma terza secondo me per importanza, è la scatenata “All Messed Up”, puro rock e adrenalina a mille. Ancora perfetto il contributo di Hughes in sede vocale, così come perfetto è Neil Carter, quintessenza del pazzo scatenato in sede live, che di questa song fa il suo cavallo di battaglia (da vedere assolutamente quando imbraccia la ritmica). Mancano poco meno di 5 minuti alla fine, minuti scanditi dalla tranquilla ed elegantissima “Listen to Your Heartbeat”, song peculiare, totalmente diversa dalle precedenti, non lenta ma dalle tematiche tipiche del lento. Grandi (ancora!) il basso e le tastiere e grandissima l’interpretazione vocale, degna di chiudere uno dei migliori dischi in assoluto di Gary Moore.
Infatti, personalmente reputo Run for Cover un pelo inferiore a lavori quali “Corridors of Power”, “Victims of the Future” e “Wild Frontier”, ma essendo io un fanatico del chitarrista irlandese, amo comunque tantissimo anche quest’opera, consigliandola a tutti, ne vale davvero la pena.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist:
1) Run For Cover
2) Reach For The Sky
3) Military Man
4) Empty Rooms
5) Out Of My System
6) Out In The Fields
7) Nothing To Lose
8) Once In A Lifetime
9) All Messed Up
10) Listen To Your Heartbeat