Recensione: Run with the Pack
Proprio in occasione della prossima comparsata all’imminente Frontiers Festival, ecco concretizzarsi il nuovo album della graziosa Issa Oversveen, interprete norvegese della quale abbiamo sinceramente apprezzato parecchie cose ascoltate nelle precedenti uscite, sempre ben confezionate sul filo della melodia elegante e dei toni edulcorati.
Raffinatezza e “zuccherosità”: ingredienti ed elementi che ritroviamo – per quanto possibile – ancor più accentuati in questo nuovo capitolo discografico (quinto in carriera), per il quale la affascinante singer nordica ha scelto una line-up tutta tricolore. Affidandosi alle cure sapienti del buon Ale Del Vecchio (era da parecchio che non lo nominavamo…), insieme a Simone Mularoni dei DGM, Andrea Torricini dei Vision Divine e Marco DiSalvia dei Kee of Hearts, il connubio sostanza/qualità è, infatti, assicurato: artisti in grado di esprimersi adeguatamente sia in veste solista, sia all’interno di una formazione in cui il professionismo di alto livello può rivelarsi un fattore in grado di muovere gli equilibri, facendo lievitare di un bel po’ il risultato finale.
A beneficiarne, come ovvio, è Issa, libera di esprimere il proprio talento vocale su di una serie di brani visceralmente ancorati all’AOR più tradizionale, riecheggiante uno stile che non possiamo non riconoscere come da sempre affine a quello di Robin Beck e – in certa parte – Lee Aaron. Costruite con stile ma soprattutto ben suonate, le canzoni inserite in “Run wih the pack” non aggiungono, tutto sommato, proprio nulla di nuovo a quanto proposto sin qui nella discografia di miss Oversveen, mantenendo una continuità lineare di “linguaggio” e sensazioni.
Ciò che forse in minima parte può definirsi meno convincente del solito e però l’eccessivo ricorso alle ballad, elemento che – soprattutto nella parte finale del cd – rischia di rendere l’ascolto un po’ appesantito e statico, in particolare alle orecchie di chi da sempre preferisce l’approccio più frizzante e brioso in luogo di quello melodrammatico e sentimentale.
Fatto questo doveroso appunto, quello che in qualche modo ci rimane tra le mani è comunque cospicuo: un gruppo di canzoni senza dubbio di qualità, in cui il talento della band tutta è tangibile e risolutivo.
Il meglio, come anticipato, arriva ad ogni modo all’inizio: il terzetto con cui il cd esordisce – “Am I Losin’ You”, “Run with the Pack” e “Sacrifice Me” – è esemplificativo e chiarificatore di come l’impostazione del disco verta con fermezza sulle soluzioni ultra-melodiche ed accattivanti, facili e magari pure un po’ occhieggianti al grande pubblico.
Notevole su tutte, è tuttavia la già citata “Sacrifice Me”, traccia marchiata dal felice duetto con Deen Castronovo che odora piacevolmente di Journey e Revolution Saints, sino ad ergersi a capitolo migliore del lotto.
Non da meno anche la soffusa e suggestiva “The Sound of Yesterday”, canzone che pare costruita proprio per adattarsi al meglio alle corde vocali della brava cantante norvegese, qui davvero molto vicina alla già citata Robin Beck.
Dovendo scegliere, vogliamo però preferire episodi quali “How Long”, “Come Back Again” e “Irreplaceable”, primaverili, gaudiosi e solari: indovinati esempi di AOR sciccoso e raffinato.
L’immancabile ballatona “Everything to Me” (pareggiata dalle precedente “Bittersweet”) chiude l’album in tonalità soffuse con un pezzo che, non fosse per qualche schitarrata, potrebbe quasi appartenere al repertorio di Mariah Carey, ottimo per dar risalto alla bravura di Issa (alcune note sono praticamente impossibili), forse un pizzico banale nell’economia complessiva di un disco che non ha nell’originalità il proprio punto di forza definitivo.
Ma che, comunque, non manca di rappresentarci nuovamente una ottima artista, dotata di una voce versatile e di un talento indiscutibile.