Recensione: Runaway Brides

Di Alessandro Zaccarini - 20 Dicembre 2005 - 0:00
Runaway Brides
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Anno: 2005
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57

Il primo episodio non era andato male, diciamocelo. Dall’unione di Tracii Guns e Nikki Sixx era forse lecito aspettarsi qualcosa di più, ma tutto sommato le nove tracce di ‘Here Comes the Brides’ avevano un loro perché: una manciata di pezzi facili e immediati, senza lode e senza gloria, adatti a guadagnarsi la simpatia dei sostenitori del genere.

Oggi, in seguito a un via-vai in line up quasi da telenovela (= ridicolo), che ha visto Nikki Sixx tornare all’ovile (qui sostituito da Scott Sorry), mister J. Corabi messo alla porta e il buon Ginger sedotto e abbandonato, i Bride of Destruction si ripresentano con questo ‘Runaway Brides’ e Tracii Guns con i gradi di comandante.

Ma… cosa sono Criminal e This Time Around? Brothers? Blown Away? E Dimes in Heaven? Uno scherzo di pessimo gusto? Purtroppo no, sono l’ennesimo sintomo di come buona parte della scena hard rock americana si stia piegando al trend. Sono pochissime buone idee portate via da una produzione insufficiente e modernista, oltre che da un songwriting che lontano miglia puzza dell’ormai conosciuto tentativo di fare breccia nel mercato facendo propri certi canoni attuali. Sono una proposta che disgusterà le orecchie dei fan degli L.A. Guns e dei Motley Crue che furono.

Fortunatamente qualcosa che si salva c’è, ovvero la graffiante Dead Man’s Ruin e la coppia di pseudo-ballad Never Say Never e Porcelain Queen. Questi tre brani, tre fiammate in mezzo a una manciata di mediocrità e una decina di pezzi fallimentari, sono però davvero troppo poco per poter considerare ‘Runaway Brides’ in maniera positiva. I dubbi sorgono spontanei: Sixx e Corabi erano così indispensabili? Erano loro la linfa vitale dei Brides of Destruction. Forse è il caso di pensare di sì.

L’idea dei Brides of Destruction come nuovi alfieri dello street/glam, nel caso si fosse mai presentata, era già stata ampiamente archiviata dopo il debut: carino sì, ma non irresistibile. Per questo secondo episodio, tutto quello che la band americana doveva fare era tirar fuori una mezz’oretta abbondante di hard rock senza troppe pretese, ripetendosi sui livelli del debut. Non ci è riuscita.

Mission: failed.

Tracklist:
01. Aunt Biente
02. Lords of the Mind
03. Dead Man’s Ruin
04. Criminal
05. This Time Around
06. White Trash
07. Brothers
08. Never Say Never
09. Blown Away
10. Porcelain Queen
11. White Horse
12. Tunnel of Love
13. Dimes in Heaven

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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