Recensione: Runaway Dreams 1980-1992

Di Stefano Ricetti - 28 Febbraio 2024 - 8:17

Quel gran calderone che fu la Nwobhm abbracciò tanto i Venom di Cronos, Mantas e Abaddon quanto gli Handsome Beasts del mitico Garry “The Fat Bastard” Dalloway [R.I.P.]. Due modalità opposte di intendere la musica dura, con i primi autori di un massacro sonoro sino ad allora inedito e i secondi alle prese con un hard rock dalle tinte melodiche con qualche incursione heavy. Nel mezzo, si fa per dire, colossi quali Saxon, Iron Maiden e Def Leppard, solo per enumerarne tre. Nella storia della siderurgia applicata alle sette note la New Wave of British Heavy Metal britannica permane l’unico movimento dalle stimmate così trasversali, altre situazioni successive in differenti ambiti risultarono molto meno inclusive. Dopo aver riportato recentemente in auge gli Avenger (qui la recensione di Steel on Steel) la Cherry Red Records per il tramite della propria sussidiaria Hear No Evil Recordings Ltd rispolvera ora i nordirlandesi Mama’s Boys, altro gruppo di culto di quel periodo, formato dai tre fratelli McManus: Pat alla chitarra, John al basso e alla voce e Tommy ai tamburi.

Runaway Dreams 1980-1992, questo il titolo del cofanetto Cherry Red Records, raccoglie all’interno di cinque Cd una cospicua parte della loro produzione, con alcune chicche a corollario, come sempre. Accanto agli autofinanziati, in pieno spirito Nwobhm-Do-It-Yourself, Official Bootleg (1980), Plug It In (1982) e Turn It Up (1983) trova spazio l’ultimo loro vagito ufficiale, Relativity (1992). Il quinto dischetto ottico del lotto racchiude invece, come da titolo – Singles, B-Side & Rarities – una raccolta dei primi singoli e dei pezzi non contenuti negli album, tra cui spiccano “Rollin’ On”, “High Energy Weekend”, “Belfast City Blues” e la celeberrima “Mama Weer All Crazee Now”, straclassico degli Slade coverizzato dai Boyz in una sua versione live del 1992.

Impossibile non notare, però, all’interno di Runaway Dreams, la mancanza di Mama’s Boys (1984), il loro primo album non autoprodotto, contenente per l’appunto “Mama Weer All Crazee Now” più una serie di loro pezzi ri-registrati, Power and Passion (1985) e Growing Up the Hard Way (1987), tre dischi che, immagino per problemi legati ai diritti di pubblicazione, non sono potuti rientrare nell’operazione poi finita nel cofanetto. Non viene fatta alcuna menzione, infatti, della latitanza sopra esposta, all’interno del libretto accompagnatorio l’opera, composto da venti pagine contenenti la storia della band riportata da Rich Davenport e corroborata dagli interventi di Pat McManus, il tutto accompagnato da foto varie d’epoca.

Questo buco temporale risulta evidentissimo durante l’ascolto del materiale: la loro proposta, composta da una miscela di melodia diffusa, blues, spunti hard rock e reminiscenze figlie di sonorità tipicamente irlandesi se nei primi dischi risulta interessante ancorché acerba in certuni passaggi, si sublima nel finale della loro carriera, incarnato da Relativity. Un album tanto ammiccante quanto americaneggiante nei suoni, che riporta anche spesso a ZZ Top e Foreigner e che vede i tre Mama’s Boys affiancati dall’ennesimo cantante di ruolo – particolarità che contraddistinguerà la parte centrale della loro carriera – ossia Mike Wilson, un ottimo frontman con la passione per il gentil sesso. La leggenda riporta, così come il booklet di Runaway Dreams, che Wilson, incontrata un’avvenente e disponibile hostess durante il loro tour del 1993, prese letteralmente il volo congedandosi dai Mama’s con una semplice telefonata: “I’m in love and I’m not coming, end of story”. La dipartita del batterista Tommy McManus, nel 1994, da tempo immemore malato di leucemia, sancì la fine della storia dei Mama’s Boys, indimenticabili piccole grandi perle figlie della Nwobhm, che tante soddisfazioni si cavarono anche in sede live.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti  

 

 

 

 

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