Recensione: Sabbatai Zevi
Spararsi in cuffia un disco dei Witchfield equivale a fare un salto nel passato, in grado di scoperchiare antichi suoni provenienti da cripte chiuse da una trentina d’anni. Quest’ultimo Sabbatai Zevi, uscito per Black Widow Records, a distanza di più di un lustro rispetto all’esordio Sleepless – anche se in modalità differente rispetto all’illustre predecessore – emana quel magico profumo dalle tinte viola che riporta ai lavori del Paul Chain Violet Theatre, combo allestito dal chitarrista dei Death SS successivamente alle vicissitudini legate alla band madre, intorno al 1984.
Mastermind dei Witchfield è il batterista/polistrumentista Thomas Hand Chaste, vecchia volpe – ehm… invero impersonava il lupo mannaro – dell’HM italiano, famoso per la sua militanza nei primi Death SS ma anche per aver costituito un pilastro del progetto Paul Chain Violet Theatre, poi divenuto semplicemente Paul Chain e più recentemente impegnato nei Sancta Sanctorum. Accanto a lui, in questo nuovo capitolo targato 2015, una moltitudine di musicisti, fra i quali spicca Red Crotalo dei Revenge all’ascia su di un paio di pezzi, poi Giovanni “John Goldfinch” Cardellino dell’Impero delle Ombre, Pietro Pellegrini (Alphataurus), Tiziana Radis (Secret Tales), Nicola Rossi (Doomraiser), Romolo Scodavolpe, Nicola “Cynar” Rossi, Frederick Dope, Felis Catus, Ture, Syrus, Runal, Raffeale “The Best” Magi, Psico, Omar Bologna e Faro.
L’album è dedicato al mistico ottomano Sabbatai Zevi (1 agosto 1626 – 17 settembre 1676), fondatore di un movimento ebraico denominato sabbatianismo e si accompagna a un libretto di otto pagine contenente le note essenziali, le foto di alcuni dei partecipanti al progetto e le due centrali foriere di uno scatto notturno rappresentante un mega falò di alberi con intorno varia umanità.
Intro affidato alle parole di Scodavolpe abbinate al synth di Chaste, poi una mannaia a forma di chitarra fende potentemente l’aria coadiuvata dal suono tormentato delle tastiere, spalancando il sepolcro heavy doom retto sull’interpretazione chainesca di Nicola “Cynar” Rossi all’interno delle trame nere di Living on Trees. Solo di chitarra a opera di Red Crotalo. Subito dopo gli anni Settanta si impossessano dei sei minuti e rotti della title track Sabbatai Zevi, grevi come ci si deve attendere, con un finale epico a la Black Sabbath. La sperimentale e cinematografica Continent si avvale della preziosa voce femminile di Tiziana Radis mentre I Feel the Pain riporta prontamente nella cripta oscura alla maniera dello Steve Sylvester d’annata. Dopo tante tenebre ottimo risulta essere lo scorcio di luce fornito da Walk, pezzo ove Runal alla voce sa fornire la giusta dose di magia necessaria per scardinare di un botto l’impianto nero pece sul quale fino a quel momento si era retto il disco. A seguire la spiazzante – in positivo – cover di Make up your Mind, pezzo dei Quatermass per l’occasione interpretato da Giovanni Cardellino dietro al microfono, a fornire una salutare boccata di Prog made in UK. Il suono di un organo monumentale fa partire le trame di Heart of Soldier, vomitate direttamente dal quel sottobosco sepolcrale che fa parte del patrimonio del rock italiano, con Nicola “Cynar” Rossi alla voce. L’ossessione malsana contenuta in Falling Star chiude il sipario dal colore viola che ammanta sin dall’inizio la musica contenuta all’interno di Sabbatai Zevi, grazie ai servigi Tiziana Radis (voce), Faro al solo di chitarra e il resto ad appannaggio dell’ex lupo mannaro dell’Adriatico.
Thomas Hand Chaste’s Witchfield: semplicemente heavy doom di classe.
Stefano “Steven Rich” Ricetti