Recensione: Sacred Ground

Di Francesco Maraglino - 17 Luglio 2016 - 7:00
Sacred Ground
Band: Dare
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2016
Nazione:
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80

E’ sufficiente  approcciarsi appena all’opener nel settimo album dei Dare, intitolato Sacred Ground, per comprendere al volo che la band britannica non ha inteso scostarsi dal suono che l’ha contraddistinta almeno da Calm Before The Storm in poi.
Home, infatti, s’annuncia con un delicato arpeggio chitarra acustica, che dà il benvenuto alle melodie rotonde e distese della sei-corde elettrica ed alla voce calda e solenne di Darren Wharton. I Dare, dunque, ancora una volta si cimentano nel maestoso, magico AOR dagli influssi celtici per cui sono ben noti.
 

Ebbene si: a distanza di molti anni dal precedente album d’inediti, sono tornati i Dare, la band guidata proprio dal cantante e tastierista Darren Wharton (il quale annovera nel suo curriculum, lo ricordiamo, una lunga militanza nei Thin Lizzy) e che vede ancora una volta tra le sue fila l’ex chitarrista dei Ten Vinny Burns.
E sono tornati con un lavoro di pregevole fattura, che costituisce un altro prezioso tassello all’attraente e raffinata discografia della band, che comprende alcune opere che non possono mancare nella collezione degli amatori di questo specifico genere musicale.
Ai suoi esordi, infatti, i Dare diedero subito alla luce uno degli album considerati tra i capolavori essenziali dell’AOR, Out Of The Silence, per poi enfatizzare soprattutto l’aspetto più innodico e “folk” del proprio suono.
 

Ed ecco che il nuovo platter presenta anche brani come I’ll Hear You Pray, una ballata elettrica dalle tendenze maggiormente AOR (con persino qualche lontana reminiscenza dei Foreigner) senza rinunciare neanche qui alle suggestioni enfatiche di cui la band è maestra.
E’ sempre il suono dalle influenze celtiche, in effetti, che prevale in tutto l’album: è il caso di Strength, che emoziona con il suo canto dolente e per la tessitura della chitarra che rilancia un’atmosfera struggente disegnando incantate melodie.

Lo stesso mood è presente in Every Time We Say Goodbye, Until, e All Our Brass Was Gold, tutte increspate da un elegiaco umore folk.
Altrove, ed in particolare in Days Of Summer (come il titolo fa presagire), l’atmosfera si fa più solare e i Dare si fanno tentare da qualche accennata sferzata rock (soprattutto a cura di Vinny Burns), pur con l’umore malinconico che prova a prevalere sul sole dell’estate; ancora, On My Own  è una semi-ballata folk rock decisamente vivace e screziata da inserti elettrici.
Il terzetto di chiusura è progressivamente più radioso ed energico: You Carried Me e Like The First Time, infatti, sono veloci e luminose, così come la conclusiva e più rockeggiante  Along The Heather, che chiude  splendidamente Sacred Ground con uno dei brani migliori del lotto.

Sacred Ground, insomma, soddisferà appieno i sostenitori dei Dare e del loro fatato e maestoso suono dalle grandi melodie e dagli echi di tempi antichi. Tutte le canzoni sono di buona qualità, e forse l’unico appunto che si può muovere alla band è l’eccessiva uniformità dei climi sonori di cui il disco è pervaso.

Francesco Maraglino

 

 

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