Recensione: Sacrifice
La storia vive di corsi e ricorsi. Così la pensava Niccolò Machiavelli all’incirca cinquecento anni fa, concetto sposato poi anche da Gianbattista Vico un paio di secoli dopo.
Sulla base di quanto sopra e alla luce del nuovo album, il ventesimo della carriera, c’è effettivamente da chiedersi se i Signori dell’Acciaio siano tornati a diventare i Saxon, come nei primi anni Ottanta e se, come si dice, tre indizi fanno una prova, probabilmente potrebbe essere davvero così:
1) coloro che li spodestarono dal trono, in quel periodo, non godono attualmente di un momento di particolare vena creativa (Iron Maiden, Manowar, fino a prova contraria anche Judas Priest).
2) Sacrifice è realmente un bel disco, 100% pure-british-heavy-fucking-metal.
3) dal vivo spaccano ancora, da decenni non scrivono più ciofeche sotto forma di full length e non si sottraggono ai fan come altri loro coevi.
Last but not least, hanno toccato il fondo verso la fine degli anni Ottanta, esattamente come gli altri grandi vecchi Leoni della siderurgia applicata Accept e idealmente proprio insieme con Loro, rivitalizzati da due album killer della portata di Blood of The Nations e Stalingrad, stanno combattendo a braccetto per riconquistare le posizioni di vertice della Premier League del Metallo pesante mondiale.
Sacrifice beneficia della collaborazione di Andy Sneap, con alla produzione uno che di sicuro se ne intende di rumore, ossia lo stesso Peter Byford. Risultato: potenza alle casse terremotante, chitarre killer e batteria dal suono vicino a quello live.
Procession è intro biblico-stentorea, spezzata dalla durissime chitarre tipical-Saxon che aprono la title track, per lo scriba uno degli highlight del disco: violenza diffusa, la coppia Glockler/Carter che martella senza redenzione e un Biff che canta meglio oggi che non durante la fine degli anni Ottanta, ove era più interessato ai piaceri della giovane carne femminile e del tabacco che non a quelli dei watt metallici. Sacrifice: l’archetipo del brano che suona HM duro, puro e massiccio anche nel 2013 senza risultare assolutamente datato, al di là delle limitazioni geografiche.
A seguire il pezzo meno interessante del lotto, Made in Belfast pare infatti uno scarto di Metalhead, anche se va rimarcato che il 50% delle HM band vorrebbe poter disporre di tale canzone in cascina. Ricordate la veemenza di This Town Rocks da Power & the Glory? Ebbene, Warriors of the Road è la risposta dei Sassoni di oggi al pezzo di trent’anni anni fa: batteria ribollente, riff a zanzara made in Yorkshire e velocità a profusione.
Note che sembrano venire dal Sol Levante e poi melodia ariosa la servizio di Guardians of The Tomb, più dark e minacciosa nel titolo che non nella realizzazione, riff a rasoio da paura a parte. Quinn pare Van Halen nelle parte iniziale di Stand and up Fight, episodio che manderà in brodo di giuggiole tutti gli amanti dei Saxon dell’irripetibile trittico d’oro Wheels of Steel, Strong arm of the Law e Denim & Leather. Biff in gran spolvero e tradizione acciaiosa al diapason. Ancora grandi asce in Walking the Steel, mid tempo pesantissimo, da rivedere il coro, tronfio oltre misura e penalizzante. Insieme con ‘Belfast il brano meno convincente dell’album.
Scapocciate assicurate a tratti anche all’interno di Night of The Wolf, brano ove i Saxon rispolverano quel retrogusto epico che li fece immensi negli anni della Nwobhm, peculiarità peraltro sciorinata anche nel pezzo successivo Wheels of Terror, ove la componente eroica viene saggiamente bilanciata con quella umbratile.
Quando si dice chitarra chirurgica: i britannici si divertono a fare un po’ gli Accept in Standing in a Queue, pezzo che chiude Sacrifice, rispolverando anche le antiche ma sempre attuali rimembranze Ac/Dc, proprio quelle che fecero mangiare la polvere altri altri heavy metal warriors d’Albione, beninteso quando abbinate alle cannonate di heavy fucking metal dei quali gli ‘Stallions erano primari diffusori, in quei giorni formidabili.
Riguardo i cinque pezzi riproposti in diverse vesti nel bonus disc, sta alla sensibilità e al gusto di ognuno valutare quale sia l’effetto delle nuove versioni. Crusader è un classico immancabile dal vivo, l’unico brano in grado di salvare in extremis un album quantomeno imbarazzante, come quello del 1984, anno ove uscirono tale Defenders of the Faith e Powerslave, tanto per citarne due NON a caso… Per la cronaca qui viene proposto in versione orchestrated. Just Let Me Rock re-recorded pare un pezzo dei Twisted Sister, in senso positivo, sia ben chiaro.
Le due gemme sono rappresentate da Requiem ma soprattutto Frozen Rainbow, da Saxon 1979, tanto per dimostrare al mondo come un Peter Rodney Byford detto Biff , alla tenera età di 62 anni suonati, sappia ancora cantare senza far esplodere i colleoeni dai pantaloni ogni volta, mettendoci anima, cuore e una classe straordinaria. Quest’ultima da gustarsi senza distrazioni, con davanti agli aocchi l’immagine del disco d’esordio degli Stalloni e una birra nella mano destra. Chapeau Monsieur Byford…
Chiude il quintetto Forever Free, altro pezzo salva-baracca e burattini (o quasi) del 1992, invero molto vicina all’originale.
Sacrifice non sarà l’album della definitiva riconsacrazione degli Stallions of the Highway di Sheffield ma spacca di brutto ed è altrettanto convincente. Possiede la medesima consistenza di The Inner Sanctum fusa con delle impennate degne delle migliori cose estratte da Into the Labyrinth e, per non farsi mancare nulla, ovviamente non è privo nemmeno di quel paio di brani non all’altezza del resto, compensati abbondantemente dagli highlight di cui sopra.
Può abbondantemente bastare ed avanzare, per chi abbisogna di sane e purissime dosi di HM tradizionale, fra i quali lo scrivente.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
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Tracklist:
01. Procession
02. Sacrifice
03. Made in Belfast
04. Warriors of the Road
05. Guardians of the Tomb
06. Stand Up and Fight
07. Walking the Steel
08. Night of the Wolf
09. Wheels of Terror
10. Standing in a Queue
Bonus tracks Cd 2:
– Crusader (Orchestral version)
– Just Let Me Rock (Re-recorded)
– Requiem (Acoustic version)
– Frozen Rainbow (Acoustic version)
– Forever Free (Re-recorded)
Line-up:
Paul Quinn Guitars
Biff Byford Vocals
Nigel Glockler Drums
Nibbs Carter Bass
Doug Scarratt Guitars