Recensione: Sacrifice
Premendo play ed iniziando ad ascoltare “Sacrifice”, lavoro discografico degli svedesi Gravebreaker, pare di trovarsi di fronte ad un’uscita anni ottanta. La realtà è ben diversa, nel senso che il progetto nasce nel 2011 e dà alla luce questa prima fatica in studio nel 2016.
Il sound proposto è un heavy metal decisamente vintage, dal taglio epico e sulfureo, capace di creare un’aura di misticismo intorno a sé. Ci vengono così in mente paragoni con Omen e Metal Church per suoni, e con Ozzy e Mercyful Fate per ambientazioni.
La base di tutto ciò è un primordiale hard rock che si sposta per tematiche ed approcci horrorifici, al più classico dei suoni. Alcune velocità di esecuzione ed approcci ci portano alla mente anche i primissimi Running Wild, mentre l’uso di certe distorsioni ed angoscianti accelerazioni dal sapore horror, richiamano il maestro King Diamond. Ovviamente sono accenni, ma che rendono l’idea di quanto amore per talune sonorità vi sia nei Gravebreaker.
Le distorsioni, e le strutture dei brani, ricalcano perfettamente quel periodo, ed in tal senso regalano quelle emozioni, nonostante siano passati tanti anni, a dimostrazione che la musica non ha età. Come capita sempre in questi casi, è altrettanto palese come nulla venga aggiunto al panorama, e molti si chiederanno che senso abbia, nel 2016, proporre un sound di questo tipo. La passione però viene da dentro, e l’amore incondizionato per vetuste proposte non potrà che essere un tuffo al cuore per chi adora quell’odore di mistico tanto caro al sound di una volta.
Spontaneità e genuinità sono gli ingredienti principali per un disco dinamico, ed in grado di raggiungere il cuore dell’ascoltatore. Un gioco di ombre, di fasci di luce che rivelano pulviscolo magico, icone di un rituale lasciato a metà, ed ora concluso. Pallide candele ed un testo dalle ruvide pagine rilasciano una rassicurante immagine heavy. Realisticamente consigliamo questo full-lenght ai nostalgici, ed a chi non si ferma di fronte a sonorità che arrivano dal passato. Chi invece cerca la novità, oppure non ama questo filone, può tranquillamente passare la mano.
Stefano “Thiess” Santamaria