Recensione: Sacrificio
Il 2021 vede il ritorno sulle scene degli ‘anglo/cileni’ Criminal, nati nel 1991 a Santiago del Cile da un paio di costole della band Death/Thrash Metal “Pentagram Chile”. Con la curiosa indicazione di doppia nazionalità intendo fin da subito fare riferimento a un evento chiave nella storia del combo sudamericano: si tratta di un insolito ‘spostamento transatlantico’ vissuto dal gruppo. I Criminal infatti si trasferiscono in Inghilterra nel 2001 con lo scopo di dare uno scossone internazionale a una carriera che, apparentemente, stenta a decollare dopo la pubblicazione nel 2000 del terzo disco, “Cancer”, accolto tiepidamente dalla critica e dai fans. Il cambio d’aria, almeno in quanto a produttività, sembra aver giovato agli ‘ex-cileni’, che pubblicano dopo l’espatrio cinque album prima di arrivare all’ultimo “Sacrificio”. La travagliata storia dei Criminal, oltre che dalle trasvolate atlantiche, è stata oltremodo puntellata da parecchie rivoluzioni nella line up, che a loro volta hanno certamente giovato alla varietà della proposta musicale. Attualmente l’unico elemento fondatore della formazione è il cantante/chitarrista Anton Reisenegger, il cui desiderio di proporre nuova musica non sembra essere stato minimamente intaccato nel corso degli anni. A dirla tutta, in questo caso, l’espressione ‘nuova musica’ suona un po’ forzata: “Sacrificio”, pur con le dovute cautele, sembra rappresentare più che altro un riassunto della discografia prodotta dal gruppo finora. I Criminal infatti danno in questa ultima fatica una bella svecchiata al loro sound senza però perdere di vista le loro radici. Ritroviamo le estremizzazioni a metà strada tra l’Industrial e il Grindcore di “No Gods No Masters”, il primo disco del periodo inglese datato 2004, e contemporaneamente rintracciamo un forte legame con le fondamenta Thrash/Death degli esordi di “Victimized”, dato alle stampe nel 1994. Per amor di cronaca, il primo album dei Criminal fa la sua comparsa in Sudamerica in un periodo in cui, tanto per rimanere ‘in zona’, i Sepultura avevano fatto sentire la loro ingombrante presenza con il ‘controverso capolavoro’ “Chaos A.D.”, risalente al 1993 (l’ossimoro ‘controverso capolavoro’ è più che voluto…). E’ un periodo in cui, in ogni parte del globo, molti esponenti del ‘vecchio’ Thrash Metal lentamente e inesorabilmente limitano la frenesia che contraddistingueva il loro stile di pochi anni prima, guadagnando (e spesso perdendo…) in innovazione senza abbandonare la “pesantezza” di suoni e tematiche. In poche parole, molto riassuntive, si rende necessario coniare espressioni come post-thrash o groove metal, utili per tentare di incasellare il lavoro di alcuni gruppi “fuoriusciti” dal Thrash primigenio; gli esponenti di questi nuovi stili entrano in un sottobosco musicale inesplorato, tutto da scoprire e da creare, che verrà plasmato poco alla volta partendo dalle basi gettate da gruppi come i Pantera, gli stessi Sepultura e proprio da combo meno blasonati come i nostri Criminal. I loro primi dischi, “Victimized”, “Dead Soul” e il già citato “Cancer”, sono esempi di groove metal abbastanza da manuale: Hardcore, Death e Thrash si incrociano sotto l’egida della voce di Reisenegger, perennemente a metà strada tra il growl in stile Death Metal e le tipiche urla rabbiosamente disperate spesso presenti in ambito Hardcore. Non è un caso se Anton Reisenegger, di lì a una decina di anni, farà parlare di sé per la sua militanza alle asce nei supergruppi Grindcore Brujeria e Lock Up, a testimonianza del fatto che l’ultimo decennio degli anni ’90, pur avendo prodotto alcune opere talvolta discutibili, ha garantito un rimescolamento di sottogeneri musicali vitale per lo sviluppo delle sonorità Hard’n’Heavy del ventennio successivo. Gli stessi Criminal, desiderosi di rinnovare il loro stile dopo l’approdo in terra d’Albione, proporranno tra il 2004 e il 2016 lavori piuttosto originali e abbastanza diversi tra loro: oltre al già nominato “No Gods No Soul” vale la pena accennare al potente “White Hell” del 2009, in bilico fra Thrash e sonorità Industrial/Death che sembrano ereditate dai migliori At The Gates. Percorrendo la restante discografia dei Criminal possiamo incontrare episodi più tradizionalmente Groove/Thrash, a volte un po’ deludenti come “Sicario” del 2005, per poi rifarci con dischi elettrizzanti come “Akelarre”, uscito nel 2011 e capace di far divertire tanto i thrashers più tradizionali quanto i fan dell’Hardcore puro e duro. Il penultimo lavoro del gruppo, “Fear Itself”, risale al 2016: il suo mix di Thrash, Hardcore, Death e chi più ne ha più ne metta non aggiunge né toglie nulla a quanto detto e suonato dai Criminal fino a quel punto, comprese le onnipresenti somiglianze con il sound che ha caratterizzato i Sepultura negli ultimi anni prima dell’allontanamento di Max Cavalera. I Criminal insomma, pur non avendo mai prodotto capolavori assoluti, si sono comunque distinti per aver ‘portato a casa il risultato’ con onore e mantenendo quasi sempre un livello qualitativo superiore alla media, tanto che, tornando finalmente a “Sacrificio”, possiamo tranquillamente affermare che anche in questa occasione i Criminal hanno fatto bene il loro dovere. La buona qualità della produzione, innanzitutto, rende godibile l’ascolto risultando personale ed efficace senza mai essere esageratamente pulita e, mi si conceda il termine, troppo ‘plasticosa’. Come spesso è accaduto nella discografia dei Criminal, anche la tracklist di “Sacrificio” si compone di 12 tracce, ma nessun timore in quanto a immediatezza: il running time del disco è poco più di 40 minuti, con un minutaggio medio per ogni brano che raramente supera i 4 minuti. Questa scelta rende l’album di facile approccio, quasi orecchiabile in certi passaggi, soprattutto là dove le sonorità Hardcore si fanno sentire maggiormente. Hardcore, certo, ma non solo: già nella prima canzone, “Live On Your Knees”, veniamo assaliti senza preavviso da parti in blast beat e ritornelli con tanto di voce in scream che molto hanno a che vedere con il Grindcore, a testimonianza che il calderone dei Criminal è come sempre ricco di influenze provenienti dai generi più disparati. Un sicuro merito dei Criminal è infatti quello di riuscire ad amalgamare elementi molto diversi in un brodo primordiale moto coeso e coerente: se il primo brano scomoda il Grindcore la seconda canzone, “Caged”, sembra voler riportare l’ascoltatore ai movimentati anni ’90 e ai successivi, primi lavori dell’era inglese dei Criminal. Il brano aggredisce l’ascoltatore con un bellicoso assolo di batteria al quale si aggiunge un riff di chitarra distorta ai limiti dell’Industrial: la struttura del brano nel suo incipit ricorda molto da vicino “Flashpoint” dei Fear Factory, ottava traccia dell’insuperato “Demanufacture”. Addirittura, e qui parliamo di roba da intenditori, “Caged” richiama alla mente la prima canzone del primo album degli svizzeri Px-Pain del 1998, “Marrow”, misconosciuto lavoro di una metalcore / groove band che avrebbe forse meritato miglior fortuna (e di cui consiglio fortemente un recupero a tutti i lettori curiosi). In generale, a prescindere da quali elementi i Criminal decidano di mettere in primo piano, l’impressione che si ricava dall’ascolto di “Sacrificio” è una piacevole sensazione di aggressione continua: non si fa in tempo a pensare che un brano sia relativamente “tranquillo” quando, di botto, partono accelerate Thrash/Hardcore da spaccare le ossa, come nel caso della terza “The Whale”, della quinta “After Me, The Flood” o della devastante sesta traccia “Dark Horse”. Rimane purtroppo qualche perplessità quando i Criminal mantengono sotto controllo i BPM: le parti più cadenzate di “Sacrificio” talvolta assumono quell’agrodolce sapore di riempitivo che non aiuta l’economia del disco, trattandosi di un lavoro quasi perennemente votato a ritmi assassini in up-tempo e blast beat. La preponderanza di momenti aggressivi e “tirati” oltretutto ben si adatta alle tematiche di denuncia sociale discusse nei testi, ispirati ai Criminal dalla storia recente della madrepatria, il Cile, squassato negli ultimi anni da proteste contro la corruzione del sistema, la povertà e le disuguaglianze sociali. Stupisce in questo senso la scelta di chiudere l’album con la fiacca “Ego Killer”, il cui ascolto spingerà gli ascoltatori a recuperare un po’ di energia scegliendo canzoni più coinvolgenti come la nona “Zealots” o la precedente “Sistema Criminal”, il cui videoclip è rintracciabile in rete.
L’esperienza maturata e le diverse influenze raccolte durante gli anni fanno quindi dell’ultimo “Sacrificio” un bel compendio di tutto ciò che è stato suonato, ascoltato e vissuto dai Criminal durante la loro lunga carriera. Chi li conosce da molto tempo può fidarsi ciecamente: l’album mantiene inalterato lo stile musicale che contraddistingue il gruppo da parecchi anni a questa parte. Chi non li ha mai ascoltati, invece, potrebbe stupirsi della bontà’ di questa onesta e fragorosa proposta. Dopo tanti anni trascorsi a dare un solo ascolto a dischi che sulla carta vengono descritti come capolavori, e che finiranno i loro giorni a raccogliere polvere sugli scaffali, il buon “Sacrificio” ha invece tutte le carte in regola per passare più di una volta attraverso i diffusori del vostro impianto audio, soprattutto alla fine una giornata particolarmente difficile: la furia dei Criminal vi verrà incontro e alleggerirà, anche solo per poco, il vostro fardello…buon ascolto a tutti!