Recensione: Sadist
È inutile girarci intorno, Sadist è una delle uscite più
attese, perlomeno in Italia, da tutti gli amanti del death tecnico, le cui
coronarie sono state messe duramente alla prova, negli ultmi due anni, dalle
reunion di Atheist, Cynic e della stessa band ligure. Le dichiarazioni della
vigilia hanno portato tutti a sperare in un ritorno ai fasti di Above The
Light e Tribe, i due capolavori della band: e
tstilisticamente è innegabile che un’inversione di rotta, rispetto
all’incomprensibile Lego, ci sia stata. Ma la qualità è quella
di una volta? Sì, anche se un po’ a sprazzi.
I Sadist infatti si ricordano di essere un gruppo con le palle quadre,
e scusate la licenza poetica: lo fanno recuperando tutte le peculiarità di un
suono che si è sempre distinto anche dai propri numi tutelari. Per prima cosa
il tasso tecnico è di nuovo asfissiante, con un Tommy Talamanca
semplicemente perfetto nel cesellare parti di chitarra abili a incastrarsi tra
loro e sostenere canzoni dalla forma compiuta; poi il ritornante Andy,
alle quattro corde, confeziona una prestazione solidissima, sempre ben udibile e
fondamentale non solo nel riempire le basse frequenze, ma anche e soprattutto
nel fungere da contraltare alla chitarra.
L’attacco è effettivamente di quelli da urlo, con una Jagriti, intro
strumentale di sapore orientale, che scivola nella prima One Thousand Memories
in modo naturale ed estremamente energico, per dare vita a quello che sembra
essere un vero e proprio capolavoro; ma che purtroppo si perde un po’ nei
passaggi successivi. Splendidi infatti restano gli arrangiamenti e le strutture
di brani come Embracing The Form Of Life, ma vuoi per una produzione
abbastanza anacronistica (non che ci si debba uniformare alla massa, ci
mancherebbe, ma un po’ più di potenza sonora avrebbe giovato per un disco che
si professa comunque ‘estremo’); e memorabili anche canzoni come I Feel You Climb,
un’altra hit del disco, con un Trevor in grande spolvero nel chorus.
Manca forse però quella magia indefinibile che rendeva dei veri fuoriclasse
i primi due album, se proprio vogliamo continuare il confronto; se invece si
decide, com’è giusto, di estrapolare Sadist dalla discografia in cui è
inserito possiamo tranquillamente giudicarlo come un lavoro da avere
obbligatoriamente. Molta è stata la fatica necessaria per scriverlo e
registrarlo, e si sente anche solo nelle inezie, come i controcanti di Trevor
appena udibili in alcuni passaggi; come gli inserti di synth (mai così freddi e
asettici), piano e chitarra acustica; come la volontà evidente di dare vita ad
un disco denso, pregno di idee e di voglia di riscatto come questo.
Non manca però qualche esercizio di stile di cui i Sadist non hanno
però bisogno: Kopto per esempio è sì carina, ma non aggiunge nulla a
una tracklist già ben costruita; fa solo attendere più a lungo una bella Excited And Desirous,
con i suoi sitar nostalgici e il suo rifferama tecno-death in bella evidenza.
Molte, moltissime luci ma anche qualche piccola ombra quindi per il ritorno
dei Sadist, la band italiana dotata forse delle migliori potenzialità da
anni a questa parte: non sempre le hanno espresse a dovere, speriamo che questo
album omonimo sappia rimetterli definitivamente in pista come meritano.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. Jagriti 02:30
2. One Thousand Memories 04:55
3. I Feel You Climb 03:59
4. Embracing The Form of Life 04:59
5. Tearing Away 03:47
6. Kopto 03:33
7. Excited And Desirous 04:41
8. Different Melodies 05:10
9. Invisible 03:29
10. Hope To Be Deaf 05:19
11. Sadist 02:33