Recensione: Sammy Hagar & Friends
Esattamente quarant’anni fa il cantante e chitarrista (nonché, più di recente, anche produttore di tequila) americano Sammy Hagar fece ascoltare al mondo per la prima volta la sua voce grazie al primo album dei Montrose. Da allora, tanta acqua (e tequila, of course…) è passata sotto i ponti, ed il Red Rocker ha attraversato le strade del rock sia in qualità di solista che militando in band come HSAS, Van Halen (nei quali sostituì con successo David Lee Roth), e, nel pieno degli anni “zero zero”, il supergruppo Chickenfoot.
Il 2013 vede Sammy Hagar, sicuramente più ringalluzzito che mai proprio dal successo dei Chickenfoot, cimentarsi con il nuovissimo album dal titolo “Sammy Hagar & Friends”; si tratta di un lavoro, in uscita per la label italiana Frontiers Records, in cui troviamo il nostro musicista alle prese con una manciata di brani – in parte originali ed in parte cover – suonati e cantati assieme ad alcuni amici che hanno già esplorato con Sammy alcuni tratti del suo percorso artistico.
L’apertura è onere di Winding Down, un brano originale ma talmente classico che è come se come se fosse sempre esistito, in cui Sammy si muove tra rock, blues e gospel assieme al sempiterno Taj Mahal.
Nella successiva Not Going Down il “new classic rock” dei Rival Sons dell’autore Jay Buchanan incontra chi il classic rock l’ha creato e vissuto. Anche qui il rock-blues venato di gospel domina, ma in un contesto più duro e trafitto da lancinanti chitarre.
Sorprende non poco, al primo approccio, la scelta della cover di Personal Jesus dei celebrati electro-wavers Depeche Mode (che proprio lì si cimentavano in un audace reinvenzione elettronica del blues), ma il risultato finale è del tutto convincente; la rendition, infatti, risulta allo stesso tempo fedele al brano originale e capace di trasfigurarlo in un pezzo di esemplare e primigenio rock-blues. Maiuscola e determinante, nella circostanza, la prestazione dell’ascia di Neil Schon.
Father Sun si muove sulle convergenze parallele di un country-rock acustico alternato a sferragliante hard rock, mentre Knockdown Dragout viaggia con decisione negli itinerari di un arrembante rock-boogie illuminato dalla saettante sei-corde di sua maestà Joe Satriani.
La successiva Ramblin’ Gamblin’ Man è l’omaggio di Sammy Hagar al più fiero e spavaldo rock stradaiolo di Bob Seeger, mentre Bad On Fords An Chevrolets riafferma l’amore del Red Rocker per l’hard statunitense degli anni settanta, attraverso una traccia trascinante e d’effetto pervasa dall’odore dell’asfalto e della benzina.
L’atmosfera si placa sulle note di Margaritaville, cover di un celebre brano country di Jimmy Buffet, latineggiante e mollemente adagiato sui confini del Texas, soprattutto quelli che si affacciano sul Messico, e ancora un mood roots si respira in All We Need Is An Island, splendidamente ed intensamente duettata con Nancy Wilson (Heart).
Going Down (Live In Studio-Take 1), infine, congeda l’ascoltatore col suo hard rock possente, imparentato con i Montrose ed arricchito dagli assoli di un Neil Schon lontano dai languori dei suoi Journey e più vicino a HSAS e SoulSirkus.
Da segnalare che la versione deluxe del CD presenta anche un brano in più, Space Station #5, registrata dal vivo in occasione del Ronnie Montrose Tribute Concert.
In definitiva, questo recente platter di Sammy Hagar, realizzato con “un piccolo aiuto degli amici” (per dirla con i Beatles e con Joe Cocker), pur non presentando elementi di carattere innovativo, rappresenta uno squisito, dilettevole ed appassionato disco di classic-rock, destinato a ravvivare le giornate autunnali di chi ama queste sonorità.
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