Recensione: Samsara
I To/Die/For li avevamo ormai dati per spacciati molto tempo fa, all’uscita di “Jaded”, un album che aveva fatto vagamente capire come la band finlandese fosse rimasta a corto di idee già al terzo capitolo discografico. Intendiamoci, la canzone “In the Heat of the Night”, con cui i nostri si erano presentati sul palcoscenico internazionale, era un cattivo biglietto da visita per qualsiasi gruppo metal che si rispetti. Qualcosa che può inchiodare alla schiena di una band l’epiteto di “Epigoni degli H.I.M. con ancora più cattivo gusto”. Ciò nonostante “All Eternity” ed “Epilogue”, primo e secondo album dei finlandesi, erano più che buoni e segnalavano un gusto tutt’altro che cattivo, oltre al vocione new wave (un po’ Morrisey e un po’ Ian Curtis) di Jape Perätalo.
Ritornano ora con “Samsara”, loro sesta release, dopo una lunga pausa (5 anni) e tre album che definire scontati è un eufemismo. Ed è una inaspettata quanto meravigliosa sorpresa, perchè c’è da dire che la pausa ha giovato e non poco. Cambio di estetica decisamente rilevante, parecchie canzoni ispirate, album vario e con parecchi spunti notevoli ancorché, si vedrà, non sempre di facile ascolto.
Ma si diceva di certi cambiamenti estetici che riguardano, innanzitutto, il cantato. Le tonalità pulite e new wave sono completamente sparite in favore di quelle rauche e rugginose che nel vecchio corso comparivano solo di rado. New wave che invece si è spostata ora nel suono, in certi giri di chitarre molto simili a quelle dei Cure o dei già citati Smiths, toni che donano una sfumatura molto originale a questi nuovi brani. Come nella opener “Kissing the Flames”, un singolone a dir poco sconvolgente, dotato di un groove assassino ed implacabile nonché di un chorus che solo i veri maestri possono comporre. La classica canzone-droga da sentire a ripetizione per un buon paio d’ore, la classica hit scala-classifiche che ogni gruppo gothic vorrebbe scrivere (e si sottolinei quel vorrebbe). Dopo aver perso quattro litri di sudore in pogo selvaggio, si può andare avanti con “Damned Rapture”, canzone profondamente diversa, lenta, indolente, disperata, quasi a livelli doom; e con “Cry for Love”, pezzo decisamente più rapido e soft, tale da rivelarsi più Sentenced dei Sentenced (praticamente una “You Are the One” più ruvida). Si prosegue con una ballad fragile ed intima, “Death Comes in March”, solo chitarra acustica e voce, mentre in “Folie Deux”, altra ballad di sicuro effetto, ricompaiono le atmosfere new wave ottantiane, stavolta coronate da un meraviglioso ritornello con coro di ninfe, indiscutibilmente il secondo miglior episodio per quanto riguarda la prima metà del disco.
Superata la tiratissima “Hail of Bullets”, il gruppo si immerge in territori più impervi, a cominciare da “Love Is Sickness”, dove i nostri mischiano la forma gothic a sonorità esotiche (orientaleggianti). Soprattutto cambiano le carte in tavola a velocità folle, tra ritornelli decisamente tirati, break di piano, chitarroni e chitarrini, per una canzone in continuo progresso e piuttosto difficile da inquadrare. Ed è qui che si capisce come “Samsara” sia un titolo quantomai adatto per questo disco. Samsara è, infatti, un termine sanscrito che nelle varie filosofie del subcontinente indica il continuo scorrere delle cose. “Raving Hearts” offre ancora adrenalina e ritornelli catchy prima di piombare in quello che è l’esperimento più strano dei To/Die/For. “Oblivion: Vision”, canzone sinistra, assai difficile da descrivere, sebbene sia fatta praticamente soltanto da una sghemba chitarra guida e una voce altrettanto sghemba. Riporta alla mente certe atmosfere Burtoniane, ma stavolta ogni paragone rischia di essere fuorviante. Chiude, infine, “Someday Somewhere Somehow”, altro bel lento gothic/dark, sviluppato tuttavia su linee classiche e rassicuranti.
Insomma, i To/Die/For tornano in grande stile, offrendoci molto probabilmente il singolo dell’anno (“Kissing the Flames”) ed al contempo un disco che mette assieme i tre requisiti fondamentali: ispiranzione, buone idee e anche una piccola dose di coraggio, il tutto condensato in brani (quasi sempre) accessibili ed al contempo originali. La continua alternanza tra song tirate e lente può far risultare l’opera un po’ indigesta, soprattutto nella seconda parte, se paragonata al loro vecchio corso. Ma i dubbi a riguardo sono ben pochi: se non si tratta della miglior prova dei nostri, si tratta sicuramente di quella più affascinante.
Discutine sul forum relativo!
Formazione:
Jape Perätalo – Vocals
Juppe Sutela – Guitar
Antti-Matti Talala – Guitar
Eza Viren – Bass
Jussi-Mikko Salminen – Keyboards
Matti Huopainen – Drums
Tracklist:
01 Kissing the Flames
02 Damned Rapture
03 Cry for Love
04 Death Comes in March
05 Folie Deux
06 Hail of Bullets
07 Love’s a Sickness
08 Raving Hearts
09 Oblivion: Vision
10 Someday Somewhere Somehow
Tiziano “Vlkodlak” Marasco