Recensione: Satyricon

Di Alessandro Calvi - 8 Febbraio 2012 - 0:00
Satyricon
Band: MaterDea
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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78

Oltre ai concerti metal il posto in cui più spesso ci si imbatte in altri metallari, un po’ tutti lo sanno, sono le ricostruzioni medievali, i festival celtici o le fiere più genericamente fantasy. Il legame tra questo ambiente e il metal è ed è sempre stato molto stretto. Proprio da questo background arrivano a noi i MaterDea, band che si definisce di folk-rock, ma con attitudine ben più pesante e degna di essere ospitata sul nostro sito. “Satyricon” è il loro secondo album, che esce ad oltre un anno di distanza dal precedente “Below the Mists, Above the Brambles” e segna un piccolo cambio di line-up per quanto riguarda le tastiere con l’uscita di Titti Cappellino e l’ingresso di Elena Crolle.

Tocca alla titletrack aprire, letteralmente, le danze. Difficile infatti resistere alle melodie sfornate dal gruppo, ma prima che sia il ritmo a prendere il sopravvento tocca alla voce impostata di David Cherubim, sopra a un sottofondo ambient, introdurci nel mondo di “Satyricon”. Dopo di che non si può che rimanere rapiti dalla voce di Simon, dal suono del violino e dai cambi di ritmo, ora più orecchiabili, ora più aggressivi.
Se dovessimo giudicare tutto un album solo dal primo pezzo, il voto sarebbe già più che positivo, ma i MaterDea hanno ben altro in serbo per noi e lo dimostrano traccia dopo traccia con una scaletta che non ha, praticamente, cadute di stile o qualità.
“Lady of Inverness” mette ulteriormente in luce tutte le qualità di Simon, sia come mera esecuzione che per quanto riguarda le emozioni che riesce a comunicare all’ascoltatore. Si tratta di una ballad per certi versi semplice e delicata, ma non per questo meno bella o capace di coinvolgere. Al contrario l’estrema orecchiabilità rapisce fin da subito i sensi e l’anima trasportandoli al cospetto della signora delle Highlands. Di tutt’altro tenore la successiva “The Green Man” in cui si torna su tempi più veloci e ritmati, complici anche le cornamuse, da cui è quasi impossibile non lasciarsi trascinare per mettersi a ballare al centro della pista.
La quarta “Benandantes, Malandantes” si apre con una citazione (poi ripresa più volte nella canzone) dal brano “Sciarazula, Marazula” di Giorgio Mainerio e risalente al 1578. L’originale era ispirato all’affresco sulla facciata della chiesa di San Bernardino a Clusone, rappresentante una danza macabra, ma nella rielaborazione dei MaterDea diviene un pezzo allegro, foriero di speranza e di voglia di lottare per difendere la natura e il proprio lavoro dai “malandanti” del titolo.
La natura, il nostro rapporto con essa, il rispetto che dovremmo riservargli e il suo essere come madre per tutti noi, fonte di vita e di speranza per il futuro, sono temi che ritornano un po’ in tutte le canzoni, seppur coniugati in modi e con scopi leggermente diversi. Chi dovesse ritenere che una simile scelta sia riduttiva e, alla lunga, ridondante, probabilmente dovrebbe ascoltare brani come “Awareness” per rendersi conto di quanta poesia certi temi e, soprattutto dei musicisti ispirati, possano racchiudere.
Chi volesse, poi, tornare a danzare non può lasciarsi scappare “Broomoon”, forse il pezzo più allegro e divertente (anche nel testo con il riferimento a una streghetta che a me ha tanto ricordato Kiki dell’omonimo film di Miyazaki) della scaletta e, sinceramente, anche tra i preferiti del sottoscritto.
Sicuramente a molti l’inizio di “Castle of Baux” suonerà famigliare e già sentito, qualcun altro, invece, riconoscerà subito la melodia de “Il Signore di Baux” di Angelo Branduardi. La settima traccia, infatti, è una sorta di cover, rielaborata in maniera personale, resa più metal (più folk era probabilmente impossibile), tradotta per ampie parti in inglese, del brano del cantautore italiano. Un esperimento e un tributo che ci sentiamo di giudicare come perfettamente riuscito e, anche, molto evocativo e sentito.
Mancano tre pezzi alla conclusione del disco e verrebbe quasi la tentazione di non parlarne. Il motivo è semplice: lasciare anche agli ascoltatori la possibilità di scoprirli da soli, di godere della sorpresa senza alcun filtro o preconcetto. Perchè se il resto del disco si è mantenuto su alti livelli, quello che avanza non è da meno e il finale è proprio di quelli che si possono definire “col botto”.

Per concludere il nuovo lavoro dei MaterDea si presenta come una graditissima e inaspettata sorpresa. Un lavoro maturo, solido, di spessore e qualità. “Satyricon” ha indubbie potenzialità e capacità di riuscire a farsi apprezzare sia dal “metallaro medio” che dall’ascoltatore non abituato a certe sonorità, che qui vengono mediate dalla componente folk. Che non passi neanche un attimo per la mente, però, che sia un lavoro troppo semplice o facile, di semplice sembra esserci solo la capacità che hanno avuto Simon Papa e Marco Strega (son loro gli autori di tutti pezzi, testi e musiche) di comporre brani dagli svariati livelli di lettura, sempre in grado di riservare nuove scoperte a ogni nuovo ascolto.

Tracklist:
01 Satyricon
02 Lady of Inverness
03 The Green Man
04 Benandantes, Malandantes
05 Awareness
06 Broomoon
07 Castle of Baux
08 Children of the Gods
09 The Little Diviner
10 Between the Temple’s Walls

Alex “Engash-Krul” Calvi

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