Recensione: Savage Requiem
Ci appropinquiamo al quarto lavoro dei Magic Kingdom, band power-speed belga dal moniker palesemente attinto dal primo parco tematico del Walt Disney World (Florida, USA), irresistibilmente attratti dal notevole artwork dell’artista francese Stan W. Decker. Perché un drago tutto colorato bello cattivo con la sua temibile arma a soffio, in copertina su un disco power, ci sta sempre maledettamente bene!
Per il nuovo full-lenght “Savage Requiem”, il combo capitanato dal chitarrista di scuola fortemente neoclassica Dushan Petrossi (Iron Mask) si ritrova a presentare il terzo cantante in quattro dischi: dopo il Max Leclercq dei primi due lavori ed il “di turilliana memoria” Olaf Hayer dell’ultimo disco, al microfono si piazza l’ex-Adagio Christian Palin. Nuova voce, solito marchio di fabbrica: tanti assoli funambolici che impreziosiscono brani di natura prevalentemente power-speed.
L’intro “In Umbra Mea” con la chitarra in marcia super-riverberata, l’arpeggio acustico e le tastiere ci porta subito in un mondo barocco e solenne; entra la batteria e l’intro prosegue in “Guardian Angels” con un lungo virtuosismo tra riff e solista in un crescendo di quasi due minuti, con la batteria che non si permette nulla di scomposto (Malmsteen docet): di lì in avanti blast beat e doppia cassa su ritornello telefonato, con la chitarra solista di Petrossi che non si da pace ad insistere sulla melodia, neanche fosse André Olbrich.
Ancora neoclassico bello ma iper-derivativo per “Rivals Forever”, ottantiano nell’anima come nel ritornello, un po’ più cupa la successiva “Full Moon Sacrifice”, altro pezzo che impiega quasi due minuti a partire col cantato, e che vanta la pronuncia di “Valhalla” più strana della storia del metal.
Non male la successiva “Ship of Ghosts”, impreziosita da una bizzarra quanto ingenua citazione al principio dell’assolo del celeberrimo “Inno alla Gioia” di Beethoven buttato lì come perle ai porci. Buona anche la titletrack “Savage Requiem”, mid-tempo durante la strofa ed accelerazione nel ritornello e nel solo, quest’ultimo abbastanza contenuto per lasciar prevalere l’atmosfera del riffing su tappeto di tastiera. Prima dell’ultimo ritornello c’è pure spazio per un grido davvero poco credibile di Palin.
“Four Demon Kings of the Shadowlands” è la dimostrazione che il caro vecchio Dargor (Shadowlord of the Black Mountain, personaggio storico dei Rhapsody) è ormai superato: four is better than one. Anche il pezzo ricorda un po’ le atmosfere del primo Turilli e dei primi Rhapsody (pre “-of fire”), con la doppia cassa che non si ferma mai e quel desiderio ancestrale di epicità espresso dalle melodie, e non da un sovradosaggio di cori ed orchestre. Assolo di nuovo esplosivo, ma la pulizia esecutiva sulle scale del panzone svedese è ancora molto lontana.
Ancora tanto shredding per “With Fire and Swords”, indiavolata come certe produzioni dei Gamma Ray, ancora la strofa tra il serio e il faceto e solito ritornello super-catchy ai limiti della sigla da Fivelandia, che non mancherà di risvegliare il guerriero eroico assopito in noi.
Ci avviciniamo alla chiusura del lotto con la ballad “Dragon Princess”, che prova a rallentare ogni tanto spegnendo la distorsione delle chitarre e spingendo sulle melodie da tastiera, ma la voce di Palin risulta essere poco adatta a questo genere di soluzioni… ed anche i migliori propositi finiscono per trasformarsi nel solito pretesto per shreddare come se non ci fosse un domani. Com’era la storia? Il principe uccide il drago, arriva dalla principessa ed uccide pure lei a forza di assoli iper-tecnici senza fine.
La conclusiva “Battlefield Magic” ci risveglia con un attacco di tastiera e clavicembalo molto curato e barocco, seguito da una mitragliata in alternate picking a tempi supersonici davvero d’impatto: batteria al solito quadrata ed interpretazione vocale ruvida abbastanza riuscita. Nulla di nuovo, ma fatto davvero molto bene.
“Savage Requiem” è tutto sommato un album godibile, che merita una piena e compiuta sufficienza. Molto ben suonato, ben prodotto e che non mancherà di divertire gli aficionados del genere, come il sottoscritto – che in tutta sincerità si è concesso anche qualche ascolto in più del necessario, con tutta la piacevolezza di alcuni refrigeranti tuffi nel passato concessi dalle varie tracks. D’altro canto e con tutta onestà va riconosciuta a questo disco un’assoluta mancanza di originalità, dal neoclassico malmsteeniano anni ’80 (ma prodotto molto, molto meglio) al power degli anni ’90, con alcune simpatiche melodie (comunque già sentite e risentite) e con altrettante cadute di stile e trovate un po’ ingenue. Anche la voce di Palin, per quanto graffiante e grave, talvolta fa rimpiangere il precedente lavoro con Olaf Hayer, che comunque a livello di composizioni risulta inferiore all’attuale. Come suggerisce il moniker, insomma, l’ascolto è come una passeggiata nel più antico parco giochi disneyano: divertente quanto ormai maledettamente “già visto” e superato.
Consigliato ai nostalgici dei draghi in technicolor.
I dedicate this song,
This Savage Requiem,
To every man on Earth
To live this life with passion!
Luca “Montsteen” Montini