Recensione: Savagery

Di Daniele D'Adamo - 15 Maggio 2018 - 15:33
Savagery
Band: Skinless
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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60

Gli Skinless, nati a Glens Falls (New York) nel lontano 1992, sono una di quelle band che, pur avendo trascorso una carriera di tutto rispetto, non sono mai riusciti a piazzare il colpo del definitivo k.o. 

C’è, sì, da evidenziare, che nel periodo 2006 ÷ 2013 sono stati in letargo, dal quale sono emersi con due full-length il secondo dei quali è il presente “Savagery”; purtuttavia sembra che arrivino sempre per secondi, sulla preda. 

E probabilmente è ciò che accade anche con l’ultimogenito, album di death metal dal classico sapore americano, che spesso e volentieri si getta nelle vorticose rotazioni ritmiche del brutal. Death metal massiccio, potente, costruttivamente impeccabile se riferito ai dettami di base del genere stesso. La formazione a stelle e strisce ha alle sue spalle una notevole esperienza che si sente tutta, nelle pieghe di “Savagery”. Il disco, difatti, è maturo, completo, privo di tentennamenti di sorta in merito alla direzione da intraprendere, song dopo song.

L’aver ripreso a correre con un secondo chitarrista, nel 2013, è stato inoltre un elemento di sicuro benessere, per il sound dei Nostri. Le due asce (Dave Matthews e Noah Carpenter), infatti, riescono sia a creare un massiccio muro di suono, sia a sviscerare soli che lacerano l’etere. Il drumming scatenato di Bob Beaulac, volentieri impegnato nei blast-beast, unitamente al rimbombo continuo del basso di Joe Keyser, conducono a un suono selvaggio e assassino, tale da – non a caso – scarnificare le membra umane. Caratteristico ma un po’ monocorde il growling soffiato di Sherwood Webber, comunque leggibile all’interno di un suono sempre pulito e ordinato. Suono che, occorre evidenziare, è del tutto privo di difetti ed esitazioni: gli Skinless sanno il fatto loro, in materia di tecnica esecutiva.

Il punto debole della band, che forse spiega quanto affermato nel primo capoverso della presente, è il songwriting. Se da un lato nulla si può eccepire in ordine alla materializzazione di uno stile senz’altro personale e abbastanza facilmente riconoscibile, dall’altro si ha a che fare con un modus compositivo piuttosto rozzo e involuto. I vari brani si somigliano parecchio, rendendo complicata la visione d’insieme, annebbiata da una sequenza di pezzi che, anche dopo reiterati ascolti, non riesce a fornire novità accattivanti. La title-track, che funge anche da opener-track, non è affatto male, fra incipit ambient, riff segaossa, accelerazioni e rallentamenti nonché una buona dose di aggressività. Tuttavia, procedendo con l’analisi delle tracce, si prova un’antipatica sensazione di sfilacciamento, di omogeneità negativa nel senso che il tutto appare un po’ monocorde, monotono. E, quindi, in ultima analisi, noioso.

La bontà degli Skinless come band in sé, capace cioè di suonare death metal moderno e stilisticamente eccellente, evita a “Savagery” il naufragio per via di una inspiegabile difficoltà compositiva. Forse è un passo falso, forse è così perché nelle corde del quintetto statunitense manca quel quid in più rispetto alla concorrenza. 

Ai posteri l’ardua sentenza.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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