Recensione: Scales of Judgement
A due anni di distanza dal debutto Unveiling the Grotesque, tornano in scena i teutonici Ra’s Dawn. Riflettendo le diverse influenze musicali che hanno segnato il background musicale del sestetto di Koblenz, il nuovo Scales of Judgement offre un heavy-power solido e compatto, attraversato da numerose venature progressive. L’alchimia non è tra le più stabili, e difatti alla lunga creerà alla band più di qualche problema. Ma procediamo con ordine.
Nonostante l’ambizione dichiarata sia di offrire soluzioni fini e sofisticate, l’ossatura dell’album suona molto… tedesca. Riff solidi e massicci, ritmiche quadrate, una voce poderosa ma un po’ rauca: la base pare del tutto tradizionale, e le prime battute dell’opener Forever sembrerebbero introdurre un disco semplice e diretto. Il ritornello suona peraltro piuttosto accattivante, ma la resa complessiva è parzialmente guastata, spiace dirlo, dall’intervento delle tastiere, precise e diligenti ma più che mai fuori contesto. Soltanto l’assolo finale – strappato quasi a forza alle chitarre – riscatta almeno parzialmente una partecipazione quantomeno inopportuna, ma la convivenza tra i due approcci, heavy e progressive, si annuncia fin da subito tutt’altro che semplice. Le cose non migliorano più di tanto con la successiva Anubis, riflesso della passione della band per la mitologia egizia, che prova senza troppa fortuna ad accattivarsi qualche simpatia con un soffio di melodie orientaleggianti. Bisogna aspettare l’elaborata The Masque of the Red Death per trovare una buona sintonia tra i due diversi elementi, mentre per la seguente Flame of War vale un discorso più complesso. Il brano, grave e marziale, avanza cadenzato col supporto di un riffing quadrato e di un chorus quasi drammatico, salvo aprirsi in un break di tastiere (manifestamente ispirato al folclore irlandese) tanto solare quanto estemporaneo. Il giudizio resta positivo, ma il contrasto suona davvero spiazzante. Già più organica la seguente Terrified, nella quale l’elemente heavy sembra avere il sopravvento, grazie anche al buon lavoro delle asce gemelle Schmitz/Schoppa. La conclusiva Exodus privilegia invece l’elemento progressive, trovando le sue carte vincenti nel riffing oscuro e nella fantasia ritmica e rendendo così più mite il giudizio finale.
Nel corso dei suoi quaranta minuti abbondanti, l’album vive insomma di svariati momenti piacevoli, intervallati però da sezioni piuttosto scialbe e banali. Le tastiere, originariamente chiamate ad arricchire il sound, finiscono più spesso per afflosciarlo: e i problemi non stanno tanto nella prestazione, onesta, di Philipp Nörtersheuser, quanto nel songwriting. A tratti le linee melodiche dei tasti d’avorio sembrano addirittura essere incastrate con le cattive negli ingranaggi di una struttra che potrebbe e vorrebbe farne a meno. Così, fintanto che la band cerca di tenere un piede in due staffe, gli strumenti confliggono tra loro, a detrimento della riuscita del pezzo; quando invece decide di virare con decisione verso uno dei due orizzonti (soprattutto in direzione heavy) i risultati appaiono decisamente più interessanti. E le ultime tracce ne sono la controprova più eloquente.
In attesa che la band prenda una decisione definitiva in merito alla sua direzione musicale, i curiosi potranno decidere di concedere una possibilità a un album ben suonato e ottimamente prodotto, capace – particolarmente nella seconda metà – di offrire qualche brano di spessore. Magari dopo avergli riservato un ascolto preliminare.
Tracklist:
1. Forever
2. Anubis
3. In Oceans of Lies
4. Scarlet Dawn
5. The Masque of the Red Death
6. Flames of War
7. Terrified
8. Exodus