Recensione: School of Hard Knocks

Di Marek Vladescu - 31 Marzo 2020 - 6:15
School of Hard Knocks
Band: Biff Byford
Etichetta: Silver Lining Music
Genere: Heavy 
Anno: 2020
Nazione:
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90

Inizio questo articolo con un’amara risata, cari lettori.
Vi chiederete, giustamente: per quale assurdo motivo?
Stai recensendo il disco solista di Biff Byford, non certo uno spettacolo di Jim Breuer in cui imita Danzig tutto il tempo.
Ne sono consapevole, credetemi. Eppure, non posso fare a meno di ripercorrere mentalmente la discografia dei Saxon; soffermandomi su quello che fu, all’epoca, il chiacchieratissimo “Destiny”. Il tassello che avrebbe dovuto assurgere a ponte d’oro fra Inghilterra ed America, rendendo il nome dei Saxon a stelle&strisce e non più solo strisce. Operazione che naufragò, legata ad un platter che peccò di leggerezza e sostanzialmente di sufficienza. Non bastarono i ritornelloni anthemici, il look cotonato da cowboy malinconico, le tastiere, una cover (seppur splendida) di Christopher Cross. Mancavano il cuore, l’ardore, la passione. Un sound “leggero” più tendente all’Hard Rock che al ruvido e crudo Heavy Metal; idea non certo da condannare. Il problema fu la sua resa, il suo sviluppo. La voglia di “commercializzarsi” ad ogni costo, lo stesso problema che impedì a “Turbo” di farsi largo come avrebbe dovuto.
“Dove vuoi arrivare, dunque?”
Stavo appunto per dirvelo, pazientate.
Ecco: se un album come “School of Hard Knocks” fosse giunto all’epoca, ragionando a posteriori / con le chiavi della macchina del tempo in tasca… allora sì, che Biff avrebbe potuto dire la sua. Eccome!
Mi rendo conto di quanto il mio discorso possa stridere, alle orecchie dei più.
Mi ritrovo a parlare di un vero e proprio eroe della musica dura, non certo di un giovanotto di belle speranze.
Chi sia Biff Byford e cos’abbia fatto per il Metal, dopo tutto, mi auguro (anzi: PRETENDO) lo sappiate tutti. Proprio in virtù di questo, non posso fare altro che sorridere al pensiero di una “riuscita” a posteriori di un “piano” ormai vecchio di trent’anni: la creazione di un Hard n’ Heavy sostanzialmente di ampio respiro, che possa mettere d’accordo gli stili inglesi ed americani, con qualche strizzata d’occhio in più verso il flavour statunitense.

Esperienza maggiore, maggior consapevolezza dei propri mezzi, estro artistico notevolmente ampliato: il Biff del 2019 è un vero e proprio Re barbaro fieramente seduto sul suo trono ornato da corna d’animali, avvolto nella sua pelliccia. Un condottiero forgiato nella fucina di guerre e combattimenti d’ogni sorta. Tanto esperto quanto prepotentemente capace di lanciarsi sulla cresta dell’onda addirittura distaccandosi da quel moniker che tanto ha fatto (e continuerà a fare, senza dubbio) la sua principale fortuna.
Il Biff di “School of Hard Knocks” vuole infatti brillare di luce propria, divertendosi meravigliosamente nel raccogliere in un’unica sfaccettatura il suo amore per quel che fu il periodo d’oro del Rock. Con una spensieratezza invidiabile. Nemmeno si tramutasse, lungo tutta la tracklist, in un ragazzo entusiasta alle prese con il sound dei suoi eroi di sempre.

Persino la copertina sembra evocare, ancor prima dell’ascolto, una certa suggestiva nostalgia. Un paesaggio dipinto in maniera quasi naif, rimandante all’infanzia di Sir Byford: non certo una Londra tentacolare e luminosa, tutt’altro. Ciminiere, cieli grigi, sobborghi operai dell’Inghilterra periferica. Ed un ponte, un treno… la Princess of The Night che passa roboante, sferragliando sui binari. Luoghi e situazioni tipici dell’infanzia di molti rocker/metalhead inglesi, da Tony Iommi a Cronos.

Ci immergiamo dunque nell’ascolto e notiamo quanto le prime due tracce, “Welcome to The Show” e la titletrack presentino un andamento coinvolgente e scanzonato, tipico del sound di band come KISS e Grand Funk Railroad. Si punta su di un Hard Rock vecchia scuola, suonato a tutto volume, vivace e divertente. Si riesce appieno nella volontà di donare all’ascoltatore un prodotto diverso da quello offerto con i Saxon, meno aggressivo e più diretto, di facile presa ma non per questo da sottovalutare. La band a supporto di Biff è a dir poco perfetta, ognuno nel suo ruolo riesce ad esprimersi al meglio; soprattutto quando viriamo su lidi più “riflessivi” e se vogliamo cupi, con le seguenti “The Pit and the Pendulum” e “Worlds Collide”. Un duo meno festoso ed irriverente, canzoni più ragionate ed intense, avvolgenti. Si continua con una splendida cover di Simon&Garfunkel, altra strizzata d’occhio al panorama statunitense come fu per “Ride Like The Wind” anni ed anni orsono. Minimo comun denominatore di queste esecuzioni così distanti nel tempo: la capacità incredibile, disarmante di Biff nel riuscire a far proprio un brano non suo, donandogli una nuova luce, una nuova anima. Di certo “Scarborough Fair” dovrà rendere l’album più “american friendly”, non ne dubitiamo… Eppure, sfido chiunque a non lasciarsi catturare dall’interpretazione del Nostro, accompagnato da un ensemble strumentale sempre sul pezzo, melodico e melanconico. Atmosfera rotta dal palesarsi di “Pedal To The Metal”, energica e dinamitarda, che in un album dei Saxon non avrebbe certo sfigurato. Trend mantenuto con l’imperiale “Hearts of Steel”, custode dell’anima più epica e prepotente del singer, ormai alle prese con il suo lato più squisitamente metallaro. Ballad dietro l’angolo: preparate gli accendini per “Throw Down the Sword”, cover dei Wishbone Ash. L’orgoglio britannico di Biff salta fuori prepotente in una ballad Rock Blues da antologia, eseguita con tanto trasporto da indurre tutti noi a versare più di qualche lacrima. Già detto, ma vale la pena ribadirlo: il signor Byford è un interprete eccezionale, più sottovalutato di quanto si creda. Con gli occhi ancora madidi di pianto ci apprestiamo quindi ad un nuovo episodio “leggero”, acustico. “Me And You” fa proprio venir voglia di recuperare qualche vecchio album degli Skid Row, dato sì che il tenore di questo penultimo brano rievoca la gloria di classiconi come “I Remember You”. Pensiero personale: non mi dispiacerebbe se Sebastian Bach decidesse di farne una cover sua.
Arriviamo al gran finale con la coinvolgente “Black and White”, la quale recupera il tenore dei primi due brani di “School…” donandoci un degno commiato. Una traccia da corsa su di un Truck lungo la strada di qualche badland; col cappello sugli occhi ed il tramonto all’orizzonte. La vita è meravigliosa (cit. Cappanera).

Così come, alla fin fine, meraviglioso è il lavoro svolto dal Nostro in questa sua prima (e si spera non ultima!) fatica discografica in solitaria. Un album, “School of Hard Knocks”, variopinto e particolare, mai scontato e mai banale seppur dall’ascolto “poco impegnativo”. Avete voglia di passare un’ora in totale allegria e spensieratezza, godendo delle grandi doti di un navigato musicista di fama mondiale? Fate vostra una copia di questo platter, non ve ne pentirete. Garantito!

 

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