Recensione: Screaming Steel
Da un po’ di anni a questa parte abbiamo assistito all’avvento dei talent show, che con il loro successo sembrano diventati la nuova frontiera per dilettanti e non solo, allo sbaraglio. Infatti, sono sempre più numerosi gli aspiranti musicisti che vedono in questi programmi l’opportunità per farsi conoscere. Tant’è che anche la scena rock e metal non è rimasta immune al mondo dei talent, accendendo a volte anche dei dibattiti. Se da un lato sono visti come l’occasione per mettersi in mostra davanti al grande pubblico, spesso non incontrano i favori di una certa schiera di puristi, secondo i quali i talenti si forgiano con la gavetta fatta di prove in cantina e concerti alla sagra della birra. Comunque la si pensi, non si può negare che qualche ugola per le nostre orecchie sia uscita anche da questo genere di programmi. Un nome su tutti è Adam Lambert, poi entrato nell’orbita dei Queen. Altro esempio che abbiamo praticamente nel giardino di casa è Giacomo Voli, che dopo essersi messo in mostra sui palinsesti dei talent nazionali è approdato dietro al glorioso microfono dei Rhapsody Of Fire.
Un altro di questi astri nascenti è James Durbin, californiano di Santa Cruz uscito allo scoperto grazie alla sua apparizione su American Idols. Un’esperienza che gli ha aperto le porte della notorietà, oltre che a numerose ed illustri collaborazioni con artisti come Stevie Wonder, Don Was, Zakk Wylde e Mick Mars. Fino ad arrivare a lasciare la sua firma su due lavori in studio ed un live di nome storico come quello dei Quiet Riot.
Ora lo troviamo con il suo progetto solita, dall’inequivocabile nome di Durbin, con cui lancia sul mercato Screaming Steel, nuovo capitolo della sua saga discografica.
Accasatosi sotto l’ala della Frontiers Music, James per questo nuovo lavoro viene affiancato dalla mano esperta di Aldo Lonobile ad occuparsi della produzione e delle parti di chitarra. Completano la formazione Luca Birotto (chitarra), Mike Roberts (basso), Marco Sacchetto (batteria).
Un disco con cui, come si intuisce dalla tamarrissima cover, James Durbin vuole deliziare i nostri palati omaggiando il metallo più classico.
Screaming Steel si apre con Made of Metal, una vera dichiarazione d’intento in chiave U.S. power dove, sulle note di un corposo riff di chitarra, la voce di Durbin si prende subito la scena. Si cambia sponda dell’oceano con Where They Stand, un metal classico di matrice più europea. La prova di Durbin e l’assolo di Lonobile donano alla traccia quel retrogusto di Judas Priest del quale non ci si stufa mai. Ci spostiamo sulle latitudini più settentrionali d’Europa con Hallows, un pezzo che guarda alla corrente del power scandinavo con riff e melodia che viaggiano appaiate. Power of the Reaper è un tempo medio tutto d’un pezzo che vede la presenza di Jon Yadon Jr., già chitarrista sul album precedente The Beast Awakens, come ospite per un assolo.
Dopo la prima traccia di stampo U.S. power il disco si sposta su di un sound più europeo proponendo un metal sempre di matrice classicissima, che attinge a piene mani a Saxon, Dio e Judas Priest. In particolare questi ultimi sembrano aver molto ispirato Durbin, e non sarà un caso che durante la sua esperienza su American Idols, nelle fasi finali del programma, si sia esibito proprio con i Priest, interpretando due classici come Livin’After Midnight e Breaking The Law.
Ancora metallo scintillante con l’epica Beyond the Night, ed ancora la veloce Blazing High. Non convince appieno invece la title track che pur non denotando particolari lacune risulta essere un pezzo troppo frettoloso.
Tear Them Down si presenta con un’attitudine più easy listening, andando a giocare con melodie accattivanti. Appare leggermente più cupa The Worshipper – 1897, un mid tempo solido sorretto da una ritmica squadrata. La conclusiva Rebirth ci riporta su coordinate di un epic metal arrembante da sfoggiare come ultima scorreria in chiusura del disco. Un pezzo con il giusto slancio per tutta la sua durata ma troncato in modo forse troppo brusco sul finale.
Alla fine Sceaming Steel è un classico album di classic metal (gioco di parole voluto per rendere l’idea). Un lavoro che non sorprende e non aggiunge niente a quanto già fatto da altri, ma che riesce comunque ad andare a segno. Non farà gridare al miracolo, ma una quarantina di minuti di scapocciate su melodie metalliche è assicurata.
Anzi, contando che mentre scrivo queste righe, alla radio alternano dibattiti su Sanremo e musica trap, quasi quasi me lo riascolto ancora una volta…
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