Recensione: Script for a Jesters Tear
Nel 1978 il batterista Mick Pointer decide di formare una band con il bassista e cantante Doug Irvine, il nome del gruppo “Silmarillion” è un chiaro riferimento ad una opera dello scrittore J.R.R. Tolkien che parla della riconquista delle tre preziose gemme elfiche (i Silmaril per la precisione). La direzione musicale del gruppo è chiara fin da subito: un progressive rock che guarda ai padri fondatori del genere, i Van Der Graaf Generator, ma soprattutto i Genesis, veri riferimenti musicali della band inglese. Siamo dunque alla fine degli anni ’70; il panorama musicale inglese è drasticamente cambiato: l’uragano punk ha travolto i vecchi numi tutelari del progressive inglese e dell’heavy rock in generale, anche se nella Terra d’Albione inizia a muovere i primi passi il fenomeno della N.W.O.B.H.M., deciso a svecchiare l’hard rock delle origine per ridare nuovo futuro e slancio alla musica dura. I Nostri, come detto, rimangono affezionati al progressive rock, in barba alle critiche e nonostante le lancette del tempo inesorabilmente segnino la fine (apparente) di questo genere musicale.
Il primissimo nucleo della band è impegnato nella ricerca dei futuri “compagni di viaggio”; compito non facile, come ben testimoniano i continui cambi di line-up alla ricerca dell’alchimia giusta. L’arrivo di un certo Derek William Dick in arte “Fish” costituisce la chiusura del cerchio: è lui il punto cardine della band (che nel frattempo ha cambiato il nome in Marillion), il fulcro dei live-show dell’ensemble; il suo cantato evocativo le sue movenze teatrali, il modo di padroneggiare il palco colpiscono fin da subito lo spettatore in una simbiosi perfetta tra band e pubblico.
Come accennato, la convivenza in casa Marillion è tuttaltro che semplice; è solo a cavallo tra il 1981 e 1982 che la formazione riesce finalmente a stabilizzarsi: alla voce in pianta stabile il fenomenale Fish, alla chitarra Steve Rothery, al basso Pete Trewawas, ai tasti d’avorio Mark Kelly e infine dietro i tamburi l’unico membro fondatore rimasto: Mick Pointer. La band inglese inizia subito a suonare nei club di Londra, nel 1981 i Nostri calcano le assi del prestigioso “Marquee Club” raccogliendo ampi consensi. Il gruppo incoraggiato dai buoni responsi di pubblico incide dei demo con lo scopo di ottenere un contratto discografico: nessuna Label però vuole avere a che fare con un gruppo progressive, considerato ormai un genere musicale morto e sepolto.
Il 1982 è un anno totalmente consacrato all’attività concertistica, i nostri acquisiscono sicurezza e concretezza sul palco, il pubblico è dalla loro parte e finalmente la major EMI si fa avanti e offre un deal discografico ai Marillion: nell’autunno del 1982 esce il primo singolo, “Market Square Heroes” che fa da apripista al disco che vedrà la luce nel 1983: “Script for a jester’s tear”. L’album in questione richiama in maniera evidente lo stile dei Genesis, lo stesso Fish appare un emulo (credibile) del buon Peter Gabriel, tuttavia i Marillion dimostrano sin dalle prime battute di avere talento e, cosa essenziale, di possedere una personalità marcata. Il platter si apre con la lunga “Script for a jester’s tear” canzone mutevole, che fa del passaggio da umori introspettivi a sferzate elettriche il suo marchio di fabbrica, si prosegue con “He Knows, You Know” dove l’estro recitativo dell’ottimo Fish raggiunge vette ineguagliabili con il vocalist che affronta il tema spinoso del proprio rapporto con le sostanze stupefacenti; a parere di chi scrive il miglior brano dell’intero LP. Il disco prosegue sulle note di The Web, pezzo nel cui testo si possono cogliere vaghi richiami all’Odissea, accompagnati da un tappeto sonoro arricchito da diverse accellerazioni strumentali alternate a momenti più riflessivi.
Il resto dei brani si muove su questa falsariga: in generale si può notare una buona perizia strumentale (mai fine a se stessa) intaccata però dalle mediocri e scontate ritmiche di Mick Pointer che, dopo questo disco, sarà allontanato dalla band (a tal proposito i tecnici della EMI dovettero sudare le proverbiali “sette camice” per poter ottenere un suono di batteria accettabile sul disco). Le parti vocali sono intense e varie, davvero una ottima prova per Fish, cantante versatile e concreto. Certamente i richiami ai Genesis non si possono negare (periodo di “The Giant Hogweed”), tuttavia la musica è personale, riconoscibile; menzione speciale per il testo di “Chelsea Monday” e “Forgotten Sons”, il primo descrive il suicidio di un’adolescente vittima del consumismo e della società delle apparenze (brutalmente attuale anche nel nostro tempo), il secondo affronta il delicato tema del conflitto in Irlanda del Nord; insomma, un sonoro schiaffo a chi pensa e intende il prog-rock come una musica avulsa dalla realtà.
In conclusione questa prima opera dei Marillion può essere intesa come un compendio dello stile del gruppo, disco sia chiaro non esente da pecche, tuttavia capitolo fondamentale perchè determina la rinascita (seppur effimera) della scena prog inglese con i Marillion a far da apripista ad altre band di valore come IQ, Pallas e Pendragon per citarne solo alcune.
Tracklist:
1-Script for a Jester’s Tear
2-He knows, you know
3-The Web
4-Garden party
5-Chelsea Monday
6-Forgotten Sons
Remaster Bonus Disc:
1-Market square heroes
2-Three Boats Down from the Candy
3-Grendel
4-Chelsea Monday (Demo)
5-He Knows You Know (Demo)
6-Charting the Single
7-Market Square Heroes