Recensione: Seas Of Unrest
Devo dire che mi sono avvicinato per puro caso a questo cd e che per le prime volte il suo ascolto mi ha lasciato a metà strada tra l’essere piacevolmente sorpreso da questo trio per la potenza espressa e l’essere affranto per aver speso dei soldi per un gruppo che, in fin dei conti, non inventa nulla di nuovo, in un lavoro a tratti anche monotono… alla fine, sinceramente, ancora non riesco a capire se ha prevalso il primo sentore o il secondo.
From The Moons Mist We Arise, la prima canzone, è caratterizzata da un esordio in pieno stile epico, con rumori di spade e lamenti vari, che ben presto lascia spazio alle feroci ritmiche e alla voce, un po’ avvicinabile a quella di Dani dei C.o.F.; in realtà i nostri si avvicinano un po’ a tutto il gruppo prima citato per uso di parti cadenzate, nelle quali l’epicus furor è sempre predominante, e per l’alternarsi di queste con sezioni più veloci, nelle quali troneggia la voce del cantante e le parti chitarristiche, molto incentrate su riff velocissimi e massicci.
Un bridge fatto dei soliti rumori di guerra ci introduce in Writhing Glory, brano forse meglio riuscito rispetto al precedente, molto veloce, spigoloso quanto basta e soprattutto più amalgamato nelle varie parti, tanto da risultare già al primo ascolto, una vera e propria pietra… da menzionare è soprattutto la parte centrale, con una apertura appena gotica, nella quale ancora una volta sovrasta lo screaming del cantante, che dalla sua ha la capacità di variare tonalità con la voce senza accusare perdita della potenza trasmessa. Un soffio di vento ci accompagna in Immacolate Bloodline, track dall’inizio molto più lento rispetto alle altre due e dal refrain incredibilmente epico, capace di portarci proprio nel bel mezzo della battaglia. Il ritmo è notevolmente variegato, oscillando da cadenzato a forsennato, con una voce all’altezza del compito e una sezione ritmica ancora una volta capace di creare un vero e proprio muro sonoro incredibilmente articolato; purtroppo, però, la parte finale vede l’entrata in scena di una voce femminile, che forse deprezza la composizione per due buoni motivi: per primo, avvicina ancora di più i nostri ai Cradle of Filth, privando sempre più l’opera di una propria personalità, e per secondo, a mio avviso, banalizza la canzone, donandole un finale prevedibile, anzi del tutto scontato!
Per fortuna c’è Wolf Cry, dall’esordio incentrato sulla imperiosa melodia di un organo, a riportarci su livelli artistici qualitativamente più elevati; anche in questo caso una menzione particolare va fatta alla cupa voce che troneggia, col suo tenebroso lamento, sul brano… Spirits In My Eyes ripercorre il sentiero tracciato dalle prime tre tracks, sottolineando, forse, solo le parti più cadenzate ed estremizzando ancora di più il muro sonoro eretto dalla sezione ritmica nelle fast sections; forse rispetto alle prime canzoni presenti sull’album questa evidenzia una maggiore omogeneità tra mid-tempo e parti veloci, risultando, alla fine dei conti, rabbiosa quanto basta. Tear Soaked Ground è introdotta dall’onnipresente parte epica, che non si differenzia più di tanto, però, da quella presente in altri pezzi, così come il resto della canzone, sempre con quel suo turbinio di sezioni ritmiche che ci conduce in un vortice senza ritorno di efferata violenza.
E così siamo catapultati, trascinati, spinti sanguinanti verso Vengeance For Withered Hearts, che, a differenza delle altre canzoni, merita una menzione particolare, perché risulta senza alcun dubbio la traccia più “autentica” dell’album, insieme alla gelida XVL, pezzo strumentale che preannunzia, col suo lento incedere, Kings Enthroned Upon Ashes, altro brano all’insegna della violenza fatta musica, incessante, incalzante, impreziosito da uno stacco in pieno stile horror, che riesce, per sua fortuna, a renderlo un po’ differente da altri pezzi presentati. March of the ancients, brano strumentale dalla notevole misticità, chiude questo cd, uscito per la Music for Nations nel 1999; il mio giudizio? Dal punto di vista delle idee di fondo, le canzoni (alcune, almeno) sono buone, o meglio, sarebbero buone, se non fosse per una produzione a tratti scadente (e mi meraviglio della stessa etichetta!!!), che mette in risalto chitarre dal suono troppo tagliente, a scapito forse della qualità del lavoro nel suo insieme. Come dicevo ci sono canzoni decisamente buone (“Wolf Cry”, ad esempio, insieme alle ultime quattro tracks), ma ce ne sono alcune che non si schiodano dalla mediocrità, fungendo un poco da zavorra per le altre e spingendole verso il baratro più assoluto dell’oblio; i difetti di questo trio, forse, sono rappresentati dal voler emulare a tutti i costi altri mostri sacri del genere, riuscendovi, però, solo in parte, e dal cercare senza soluzione di continuo un ritmo incessante, forsennato, spasmodico, con cambi di tempo di per sé buoni, ma non impreziositi mai dal background dell’intera canzone, tanto che, alla fine dei conti, tutte le tracce si assomigliano un po’ (talvolta anche troppo per i miei gusti) e risultano noiose e futili (basti pensare che lo stesso inserto in stile bellico è presentato almeno due volte su dieci canzoni che compongono lo stesso album).
Dal punto di vista artistico dico subito che la prova del cantante è certamente buona, così come per la sezione ritmica, mentre ciò che non mi è proprio piaciuto, è stato l’arrangiamento chitarristico, che ha messo in mostra riff certamente granitici, ma scontati, estremamente ripetitivi, banali e chi più ne ha più ne metta: che senso ha (e lo dico da chitarrista con una certa esperienza) fare tante canzoni tutte simili dal punto di vista dell’approccio allo strumento, con linee melodiche desuete e senza personalità alcuna, evidenzianti, soprattutto, gravi limitazioni e mancanza di varietà dal punto di vista tecnico? Ritengo, e ho premura nel ribadirlo, che l’opera non è di qualità infima, ma è molto lontana anche da un livello discreto; io, personalmente, la promuoverei, ma con riserva!!!. Per gli amanti dell’estremismo…