Recensione: Seek for Salvation
Una proposta di forte impatto, un vero pugno allo stomaco, sia dal punto di vista grafico che musicale: è quello che mi esplode nelle mani quando mi capita a tiro Seek for Salvation. Debutto assoluto degli Hyra, realtà padovana che fà dell’anti-conformismo il proprio credo, proiettandosi sul mercato italiano ed internazionale con spavalderia e sicurezza nei propri mezzi, caratteristiche, queste ultime, figlie della generazione attuale, cresciuta nell’epoca del “tutto e subito”, dove la principale dote per emergere, deve essere la capacità di stupire a tutti i costi.
La prima cosa che salta agli occhi di questa band è, per certo, la grande copiosità di elementi al suo attivo: due voci, due chitarre, basso, batteria e, altra particolarità, un percussionista aggiunto. Inutile negare che il primo riferimento a venire alla mente siano i famigerati, ed ancor più numerosi, tipi mascherati dell’Iowa, che rispondono al nome di Slipknot. L’accostamento non è comunque solo casuale. Gli Hyra, infatti, definiscono il loro genere musicale: death metal sperimentale ed in fondo, chiunque abbia provato ad ascoltare almeno una volta senza pregiudizi la musica degli Americani, si sarà reso conto che questa definizione potesse calzare a pennello anche a molte delle loro composizioni. A parte questo però, questi ragazzi veneti si distinguono dagli Slipknot per una peculiarità fondamentale, e cioè la sistematica assenza di melodia. A mio parere infatti è nell’attitudine atrocemente incazzata rigettata in questo disco che sono da ricercare le radici death metal del gruppo.
Fin dalla vera traccia d’apertura dell’album, la breve ma intensa Last Breath, inizia infatti un assalto sonico senza quartiere, fatto di ritmi cadenzati, riffoni granitici ed urla infernali. Depression/Regression e la successiva Let the Dead Bury the Dead, non fanno altro che procrastinare questa tendenza fino allo sfinimento, per un inizio quanto mai indicativo delle proprie intenzioni bellicose.
Per quanto mi riguarda, non ho mai apprezzato molto la soluzione della doppia voce maschile, perchè ritengo che non ci sia mai sufficiente stacco tra le due timbriche, come invece può esserci tra quelle di un uomo e di una donna. In questo caso non posso fare altro che confermare il mio pregiudizio, visto che il cantato di Menegatto e quello di Bonato si sovrappongono spesso senza criterio, a meno di alcune grida a la Dani Filth, in un unico growl che più cupo non si può, col risultato di produrre a volte una cacofonia ed una confusione che si poteva tranquillamente evitare rendendo le cose più semplici.
Fatto sta che questo tipo di soluzione fà tanto alternative metal. Eh sì, perchè gli Hyra si riferiscono certamente, come scena madre, a quella del death, ma si sente che sono cresciuti negli anni ’90, quando non era quasi possibile evitare di essere raggiunti dall’ondata crossover, nu-metal, o comunque vogliate chiamarla. ll brano No Mercy è da considerarsi uno dei possibili manifesti ideali della band, perchè racchiude questa e tutte le altre innumerevoli influenze artistiche dei 7, sfoggiando con disinvoltura sonorità che portano alla mente nomi come Mudvayne, Coal Chamber, Korn, oltre ai succitati Slipknot. Il basso spesso slappato di Balzano, uno che col suo strumento fà davvero quello che vuole, è solo uno dei tanti richiami al funky che pesantemente influenzò quel periodo.
Altra forte influenza onnipresente è quella del thrash metal più oltranzista ed allo stesso tempo sperimentatore, e sto parlando di Machine Head, Fear Factory, Lamb of God, Devildriver e, naturalmente, Slayer. Il chitarrismo di Callegari appare in realtà come un ideale connubio tra Robb Flynn, Kerry King e….Zakk Wylde, perchè quegli armonici artificiali continui (e pure troppo….ad un certo punto!), a produrre i caratteristici fischi marchio di fabbrica del biondocrinito leader dei Black Label Society, la dicono troppo lunga a riguardo. Gli sporadici assoli, al contrario, sono di quanto più melodico ed heavy metal si possa richiedere ad un axe-man, creati con gusto e per niente dissonanti col complesso dei brani. Esempi concreti sono da ricercare in Life in Pain o nella conclusiva I hate.
La musica del combo non è male, nel complesso, è martellante, ritmata, carica di angoscia e rabbia da sfogare, forse un po’ monotona nelle partiture (soprattutto di batteria), a lungo andare, ma sicuramente ricca di spunti gustosi, sospiri raggelanti, intro chilometriche, carillon malefici, ricchi premi e cotillon…..
Una produzione di ottimo livello ed un artwork disturbante quanto basta, infiocchettano a dovere il malsano pacchettino. Curiosità resta di vedere come venga proposta dal vivo una simile mole di cattiveria patinata. Ai posteri l'”irosa” sentenza……
Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro
Tracklist
1. Intro 02:36
2. Last Breath 01:23
3. Depression/Regression 04:22
4. Let The Dead Bury The Dead 03:28
5. No Mercy 07:02
6. Coward 06:02
7. Lord Belial 04:40
8. Life in Pain 05:39
9. Burning Mind 04:08
10. Can’t Believe 05:21
11. Seed of Brutality 04:26
12. I Hate 05:54
Durata totale 55:01
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