Recensione: Seil På Skyggans Hav

Di Daniele Balestrieri - 12 Gennaio 2007 - 0:00
Seil På Skyggans Hav
Band: Draugsang
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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71

I Draugsang giungono da Bodø, ridente cittadina nei pressi del circolo polare artico, e nonostante siano in attività da diversi anni, solo ultimamente si sono decisi, dopo uno split, di pubblicare un mellifluo MCD tramite la Northern Silence, che in fatto di microband Pagan-Black ne sa davvero molto.
Questo loro primo lavoro ufficiale, “Seil På Skyggans Hav“, è stato creato con uno sguardo alla qualità e un sguardo forse anche più clinico alla presentazione del prodotto: sulla falsariga dei nostrani Throne of Decadence, anche i Draugsang hanno richiamato al proprio capezzale fin dall’inizio la ricercata mano di Christophe Szpajdel per la creazione del logo: un punto di contatto, seppur puramente grafico, con band del calibro di Emperor, Enthroned, Horna, Moonspell… per non parlare, chiaramente, dell’altra mano più caratteristica del Black Metal, quella dell'”artista dei troll” Theodor Kittelsen, responsabile della copertina. Un’accoppiata del genere non può che dichiarare l’intento più cristallino di suonare un black metal canonico e incisivo.
Tuttavia questi 18 minuti sono una vera sorpresa. Seil på Skyggans Hav è un disco di depressive black metal attorniato da atmosfere nebbiose, decadenti, lente, che riconducono sicuramente al suicide black tedesco come Fäulnis o Nyktalgia, ma anche in un certo senso ai Forgotten Woods. Ma a dispetto dei propri simili, i Draugsang brillano sicuramente nel comparto melodico. Per il genere, le canzoni sono brevi (6 minuti circa l’una) e ognuna di esse ha una distinta personalità musicale. Anche se la depressione è il tema portante del lavoro, le schitarrate classiche che avvolgono l’ascolto – specie in “Svartskjær”, risultano di grande impatto emotivo, mentre gli occasionali, mostruosi ruggiti di stanza nelle tracce riportano sempre l’ascoltatore al concept principale dell’album, a quella “Canzone del Draug” che i marinai sentivano sibilare tra le onde qualche minuto prima di morire.
L’equilibrio strumentale risulta particolarmente felice: le chitarre di sottofondo sono sempre particolarmente espressive, così come gradevoli sono i rari inserti di tastiera e di rumori (che aggiungono una carica teatrale non indifferente), il tutto accompagnato da una batteria ben scandita e mai invadente. Lo screaming è di media intensità, piuttosto basso a dire il vero, e rende bene la sensazione di malattia che affligge l’intero movimento del Black Metal.
Degno di menzione è un passaggio particolarmente ritmato in “Svartskjær“, suonato probabilmente con le corde del collo della chitarra vista la sua secchezza, e l’intero arrangiamento dell’ottima “Alt Håp E Tapt“, le cui parti strumentali ben congegnate ed eseguite riportano la mente a un’infanzia mai vissuta, e a terre umide e fredde, sensazione che si confà al black metal più intimista e maligno.

Demerito purtroppo al mixing e alla registrazione in genere, molto instabili: spesso la voce copre gli altri strumenti, altre volte è invece la batteria a sterminare l’intera struttura melodica lasciando una sensazione di “stridore” nelle orecchie piuttosto fastidiosa. Interessante il libretto, privo di pagine ma contenente i testi – in norvegese – nella loro interezza, anche se quasi illeggibili perché scritti in bianco su grigio chiaro (ma del resto il black metal è sofferenza).
18 minuti sono pochi, è vero, ma sono abbastanza per lasciar trasparire la classe di questa band, che non cade molto spesso negli stilemi triti e ritriti del genere forse proprio in virtù della provenienza geografica e della relativa giovinezza.
Il full-length dovrebbe essere alle porte, e lo attendiamo con impazienza.

Tracklist:

1. Seil På Skyggans Hav
2. Alt Håp E Tapt
3. Svartskjær

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