Recensione: Sekai No Ato – La Traccia Del Mondo

Di Andrea Arditi - 26 Maggio 2007 - 0:00
Sekai No Ato – La Traccia Del Mondo
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Anno: 2007
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78

Mi sono avvicinato a questo cd con un po’ di scetticismo onestamente,
avendo notato subito un paio di difetti che mi hanno fatto desistere da un
ascolto approfondito al momento del primo approccio: la produzione deficitaria
che, ahimè, certo non aiuta allorché si inizi ad ascoltare un album composto
da una band di cui non si sa assolutamente nulla, e la voce del singer, che a
tratti si trova a stonare e a strafare (troppe alternanze tra clean e screaming
sostanzialmente).

Ripeto, la prima impressione dopo una decina di minuti è stata questa, e mi
ha indotto ad ascoltarlo a piccole dosi sperando di cambiare opinione… Il
risultato è stato dannatamente positivo e mi ritrovo ora ad avere per le mani
un cd che ho cominciato ad apprezzare seriamente ed a mettere nel lettore non
tanto per poterlo recensire quanto piuttosto per godermi un po’ di sana e
buona musica.

Sekai No Ato (La traccia del mondo) mi ha lasciato infatti
un’ottima impressione superati (abbastanza agevolmente direi) i due scogli di
cui sopra, ed ho iniziato a prestare attenzione innanzitutto alla cura del
booklet, che nonostante non sia professionale dà una prima impronta a quello
che sarà il contenuto del disco: talora malinconico e a tinte fosche, in altri
frangenti limpido ed evocativo.

Punto enormemente a favore dei Gaia’s Vestige è più che altro da
ricercarsi nella minuziosa ricerca testuale, che ha portato i ragazzi a citare
diversi poeti e scrittori (John Keats, Percy Bysshe Shelley
e Lovecraft) e ad alternare la lingua inglese, che è ovviamente
quella di preferenza nella stesura delle liriche, a quella italiana,
quest’ultima in versione direi arcaica e che nell’atmosfera creata dai
musicisti è ottima per rendere ancora più pomposo e maestoso il tutto.

Venendo all’aspetto musicale, per chi non li conoscesse i Gaia’s Vestige
suonano un genere a mio avviso splendido qual è l’avantgarde metal,
quello del versante nordico, quindi le influenze sono da ricercarsi per lo più
nei Borknagar piuttosto che negli Arcturus in misura minore, senza
disdegnare botte bene assestate del classico black/death alla Dissection;
lo fanno anche bene nonostante una clean vocal del singer a mio avviso da
rivedere.

“La traccia del mondo” parte in maniera ineccepibile con una sontuosa
strumentale, Viridian Spring, retta praticamente solo dalla formula
tastiera & sintetizzatori, che lascia infine il posto a Of Dust and Soil
la quale, com’è ormai tradizione, si contrappone stilisticamente all’intro
proponendosi come mazzata abnorme. Ciò che di bello si potrà fin da subito
notare è come il sestetto vicentino sia stato capace di miscelare in maniera
molto convincente le trame chitarristiche violente alle melodie di sottofondo
create dalle tastiere, oltre ai classici stacchi melodiosi atti ad aumentare il
pathos intestino alla canzone.

A Hug for the Gales Lost porta ovviamente avanti quello che è
l’andamento stilistico sviscerato poc’anzi privilegiando ancora maggiormente
l’aspetto intimista tramite arpeggi acustici posti chirurgicamente in più
punti della song, così come succede per l’altrettanto coinvolgente The
Fever Ensouled
, che ha dalla sua un’impronta più violenta rispetto al
materiale che la precede; la mia preferenza assoluta va alla song che si trova
in quinta posizione, The Same Crystal, che si erge a mio avviso per un
chorus assolutamente evocativo e per delle digressioni strumentali ottimamente
orchestrate: splendido infatti è il fraseggio tra le due chitarre e la
tastiera, il tutto sottolineato con epica imponenza dal set di pelli.

Che la scena norvegese sia la strada maestra percorsa dai Gaia’s Vestige è
stato già detto, che sia stata oltremodo saccheggiata in The Obsidional
Chronicle
è palese già dal suo chorus iniziale (chi ha detto Garm?),
ad ogni modo il loro citazionismo, nonostante sia chiaro e lampante, è
godibilissimo, e lì dove non ce lo si aspetta piazzeranno uno stacco
strumentale tanto bizzarro quanto riuscito.

Un appunto che si potrebbe muovere alla band è derivante dalla song
seguente, E’enmurder, forse un po’ troppo diluita nel minutaggio
nonostante abbia dalla sua un’ariosa atmosfera nella sua seconda metà.

Una seconda strumentale (Autumn Intimate) è poi posta come stacco tra
le due canzoni finali, la violenta A Vernal Rest Descent, un po’
sottotono, e The Mask Said, che sinceramente quanto ad
arrangiamenti e riffing la trovo anni luce migliore, più ispirata e varia,
dotata di un main riff a mio avviso eccezionale e che viene portato in cavalcata
fino alla fine del pezzo, condito nelle sue ultime battute da una rincorsa tra
strumenti.

Arrivati a fine recensione non posso negare di essere rimasto affascinato
dall’opera prima dei Gaia’s Vestige, che sono stati capaci di tessere trame
musicali ammalianti e di fonderle alla perfezione con le atmosfere create dalla
tastiera. Un appunto che si potrebbe muovere loro è di essere un po’ troppo
derivativi rispetto alla scena Avantgarde Black norvegese e di mancare,
conseguentemente, un po’ di personalità; ciò non toglie che essendo un debut
album non si può non riconoscere loro una ottima capacità compositiva e di
coinvolgimento, la cui vera sfortuna è stata quella di non avere trovato
un’etichetta che abbia puntato su di loro per poter esaltare maggiormente le
loro peculiarità.

Tracklist:

1. Viridian Spring
2. Of Dust and Soil
3. A Hug for the Gales Lost
4. The Fever Ensouled
5. The Same Crystal
6. The Obsidional Chronicle
7. E’enmurder
8. A Vernal Rest Descent
9. Autumn Intimate
10. The Mask Said

Line Up:

Gabriele Buogo Andreella: Voce
Alessandro Carraro: Chitarra Elettrica e Acustica
Renato Zampieri: Chitarra Elettrica e Acustica
Alessio Favarin: Basso
Giacomo Mazzaron: Tastiera e Synth
Enrico Lucatello: Batteria

Homepage: http://www.gaiasvestige.cjb
.net/

My Space: www.myspace.com/gaiasvestige

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