Recensione: Selling England By The Pound & Spectral Mornings: Live at Hammersmith
Questa è la storia di un mezzogiorno perpetuo che intreccia il filo del tempo e della malinconia, delle cose che passando si consegnano alla storia, con la luce più forte, incendiata, che fa chiaramente vedere il lato più bello di due capolavori che per sempre rimarranno ai vertici, proprio come il sole di mezzogiorno, del cielo dell’arte. Proprio il filo del tempo, in un continuum temporale che ci lega dagli anni ’70 a oggi, ci ricorda che la meraviglia, il genio, la bellezza, la grandezza e l’immensità dei tempi che furono non hanno subito minimamente le picconate del tempo.
Se a tutto ciò si potesse dare un nome questo sarebbe, senza ombra di dubbio, Selling England by the Pound & Spectral Mornings: Live at Hammersmith di quel genio indiscusso, ma sempre tra i meno celebrati di sempre, di Steve Hackett.
Questo live, in doppio CD, è stato registrato nel 2019 presso l’Hammersmith Eventim Apollo e ha rappresentato la tappa finale del suo tour inglese e il solo pensiero che abbia congedato così il suo pubblico, anche a distanza, fa venire i brividi.
Il primo CD è la celebrazione del quarantennale di Spectral Mornings (e si rimanda alla recensione specifica presente su truemetal.it) e include anche dei brani di At The Edge Of Light, mentre nel secondo CD troviamo il live di Selling England By The Pound dei Genesis più un brano iniziato da Peter Gabriel, Déja Vu, ma successivamente ultimato da Hackett.
Ascoltando questo doppio CD si ha subito la sensazione di trovarsi al cospetto di un lavoro che, come solitamente accade per i lavori di Steve Hackett, ruota sulla precisione, sull’eleganza e sul gusto. Tutte le note suonate dalla band sono collocate nel posto giusto, proprio dove “dovrebbero stare”, e si rimane ammaliati dalla cura del dettaglio che Hackett riesce a mettere sul pentagramma.
Per quanto il live rasenti la perfezione, i fortunati spettatori, se all’Hammersmith avessero per un attimo chiuso gli occhi, avrebbero avuto la sensazione di ascoltare un CD e questo accade esclusivamente ai live dei giganti della musica.
Già dall’Intro e dai primissimi secondi di ascolto si comprende come il pubblico, in un composto ed elegante entusiasmo (come se volessero avere rispetto per l’artista e il suo spettacolo), abbia già capito a quale meraviglia assisterà e se mai qualcuno avesse avuto qualche dubbio, l’attacco di Every Day li fugherà tutti e crediamo fermamente che il sogno di ogni musicista che si rispetti sia quello di iniziare un live proprio con un brano come Every Day, in grado di emozionare e di puntare l’attenzione verso le stelle come pochi altri saprebbero fare.
Hackett, che in questo live si esprime su livelli stratosferici, nelle sue intenzioni, proprio a rimarcare il suo genio, spazia su generi differenti pur rimanendo fedele al suo credo; Fallen Walls And Pedestals, per esempio, con suoni differenti potrebbe inserirsi nell’alveo di un genere più pesante, così come confermato dal suonato di Tigermoth.
I tre brani che fanno una felice incursione nella scaletta di Spectral Mornings sembrano appartenere, per coesione, coerenza, amalgama e unità proprio al medesimo album del 1979; Hackett riesce a integrare bene tutti i brani a tal punto da non far emergere differenze.
Under The Eye Of The Sun (titolo bellissimo…) ne è la prova lampante con i suoi passaggi orientaleggianti, mentre in Beats In Our Time emerge una delicatezza inusitata, una chitarra che tesse melodie in grado di accarezzare le corde più profonde dell’anima e in modo solenne il brano evolve verso evoluzioni mai scontate, tipiche del genio di Hackett. In questo pezzo, inoltre, è affascinante scrutare un legame con l’ipnotica e oscura The Night, canzone del gruppo statunitense, attivo negli anni ’90, Morphine con un mood a metà strada tra Nick Cave e Tom Waits.
Selling England By The Pound, con il suonato più moderno, ancora oggi ci ricorda cosa bisognerebbe ascoltare quando si è in vena di deliziare orecchie e cuore con qualcosa di magistrale.
In Every Day le armonizzazioni delle voci danno respiro e riescono subito a riportare alla mente quel capolavoro che è stato Spectral Mornings.
Molto intenso è il momento in cui Hackett fa andare in feedback il suo strumento tra i 2 verse (un classico se consideriamo il suo stile). Il crescendo del brano, che ha come culmine la sequenza di temi chitarristici, risulta godibilissima e suonata col gusto e la classe che contraddistinguono il gentleman della chitarra. Una nota di merito va ad Amanda Lehmann, polistumentista ricercatissima che si rivela una spalla ideale per Steve Hackett in quanto qui è impegnata alla voce e soprattutto alla chitarra elettrica. Assolutamente una versione da non perdere, tutto è al suo posto, come già scritto, e per un brano così complesso non è da poco.
Sono tratte dall’ultima fatica del 2019 At the Edge of Light le successive Under the Eye of the Sun, Fallen Walls And Pedestals e Beasts In Our Time. La prima si distingue per il suo attacco solare armonizzato nella strofa (gustosissimi i fraseggi bassistici di Jonas Reingold) e si incastra benissimo nella tracklist impreziosita dalla parte arabeggiante centrale a richiamo di alcune sonorità più datate.
La seconda, con un intro davvero oscuro quasi proveniente da una SG targata Iommy, è uno strumentale davvero intrigante che introduce la sognante Beasts In Our Time. Stupendo l’intermezzo di sax di Rob Townsend, davvero ispirato come tutto il brano. Un susseguirsi di emozioni al minuto 4:11 con una cavalcata prog in pieno stile Kansas.
The Virgin And The Gypsy conferma ancora una volta l’eleganza di Hackett e qui alla voce si dimostra davvero a suo agio; nel brano si potrà ascoltare il flauto del fratello John Hackett. Questo super classico anticipa a sorpresa Tigermoth, la strumentale epica e progressiva fino al midollo.
Monumentali sono Spectral Mornings, The Red Flower Of Tai Chi Blooms Everywhere e Clocks – The Angel Of Mons, e sicuramente i fan dell’ex Genesis di queste esecuzioni ne saranno entusiasti.
A seguire le emozioni si sprecano con una delle introduzioni più belle della storia della musica: Dancing With The Moonlit Knight. Impressionante è Nad Sylvan alla voce, col suo timbro riesce a riportarci alla memoria il mito di Peter Gabriel pur con tanta naturalezza e senza troppo entrare nella parodia. Magistrale il groove di batteria e basso prima dell’apertura mastodontica che accompagna gli storici versi “There’s a fat old lady outside the saloon, laying out the credit cards she plays Fortune. The deck is uneven right from the start, And all of their hands are playing apart”.
Semplicemete perfetta!
L’intro di I Know What I Like è quanto mai alle porte per una reinterpretazione davvero intensa. L’improvvisazione al sax di Rob Townsend è quanto mai utile a distaccarsi un po’ da cosi tanta teatralità e a riportarci di nuovo a terra. Di gusto il successivo solo di Hackett, precisissimo anche nell’improvvisare accompagnato dai sempre brillanti Jonas Reingold e Craig Blundell prima della reprise (sinceramente quest’ultima un po’ sottotono).
Singolare come lo stesso Steve Hackett qualche anno fa dichiarò che Selling England By The Pound fu per lui il disco di rottura, una sorta di “presa di posizione” dei propri mezzi espressivi e tecnici che lo avrebbero portato alla carriera solista che tutti conosciamo.
Ed eccoci davanti a quel brano che potrebbe rappresentare un problema, ovvero Firth Of Fifth. Avvicinarsi alla recensione di questo brano può risultare pericoloso in quanto si potrebbe mancare di lucidità. L’intro al piano di Roger King ci fa ben sperare (sempre magistrale lo scambio 2/4 – 13/16), l’attacco poi è davvero incredibile e carico di pathos, ma è qui che si rimane spiazzati. Il solo di flauto viene eseguito al sax soprano dal solito fuoriclasse Rob Townsend, dunque il primo senso di estraneazione lascia spazio al godimento della musica.
I brividi lungo la schiena alle prime note di Steve Hackett, davvero in gran forma in quello che rappresenta “Il solo di Chitarra” in tutto il repertorio Prog inglese; il suo tocco e la sua ricerca del sustain fanno davvero la differenza in parti come questa.
More Fool Me scorre leggiadra mentre la successiva The Battle Of Epping Forest è un semplice modo per far riemergere ancora una volta la nostalgia per i bei tempi andati. Viene alla mente ancora il Peter Gabriel più teatrale. A detta dello stesso Steve Hackett “se c’è un disco che merita di essere suonato nella sua interezza in sede live come esperienza emotiva è proprio Selling England by the pound”.
Da qui il trittico After The Ordeal, The Cinema Show, Aisle Of Plenty chiude l’esperienza Selling England By The Pound
Avvicinandoci al capolinea di questo secondo cd troviamo la scomparsa Déja Vu, brano che Peter Gabriel aveva cominciato a scrivere nel 1973 e che Hackett ultimò per il suo Genesis Revisited del 1996 chiedendone il consenso. Semplicemente un turbinio di emozioni grazie anche al solito Nad Sylvan, davvero una presenza azzeccatissima, carismatico e teatrale all’inverosimile. La cascata di legati nel solo di Hackett è impreziosita dall’uso dell’octaver (in verità uno non molto avvezzo agli effetti Mod).
Chiudono Dance On A Volcano e Los Endos (da A Trick OfTthe Tail del 1976) che, come in una bella favola dal titolo Seconds Out ci lasciano quel senso di inquietudine, ma allo stesso tempo soddisfazione per un viaggio tra i più incredibili della musica con la M maiuscola.
Un piccolo passaggio lo merita anche il DVD, anche se la prima parte dello spettacolo appare più frammentata e i dialoghi e le presentazioni all’inizio di ogni brano risultano un po’ pesanti, ma nelle celebrazioni questo si può tollerare.
Il tempo impiegato per ascoltare questo doppio CD, ispirato e suonato con autentica passione, è tempo investito; un’esperienza che tutti dovrebbero provare e non farlo lascerebbe un senso di incompiutezza presente e postuma.