Recensione: Selvadic – Demo
Ora la questione è se qualcosa di selvaggio e di primordiale possa ancora tramutarsi in note a dispetto di un mondo ormai sommerso da un caos binario generato da cianfrusaglie elettroniche. Non sempre cerco la risposta nel posto giusto e quasi mai in realtà la risposta andrebbe davvero cercata.
Mi ritrovo all’ennesimo festival metal, in cui le buone intenzioni, il più delle volte, superano le speranze di successo dei musicisti stessi. A volte capita però che rimani sorpreso in positivo. Torni a casa galvanizzato, l’indomani riascolti il cd comprato al banchetto e ti rendi conto che tutti, tu compreso, eravate certamente in buona fede, però non era esattamente come te lo ricordavi. Così non è stato con i Trewa e questa volta Selvadic- Demo (vi ricordo che possibile scaricarlo gratuitamente a questo indirizzo), riascoltato in cuffie, filtrato da ogni disturbo, diventa eccezione, tuttavia prima di raccontarvi di cosa si tratta in dettaglio, concedetemi una breve digressione relativa alla biografia dei Trewa.
I Trewa provengono del comasco e probabilmente hanno un legame particolare con quella terra, forse da quelle parti aleggiano spiriti antichi, gli stessi che sono in grado di far in modo che le storie del passato tornino a splendere attraverso il tempo in note. Ed è certamente quella l’origine dei Trewa, un gruppo di musicisti in grado di destreggiarsi con i più diversi strumenti nell’intento di fare musica antica che per semplificarci la vita, definiamo folk. Solo che il gruppo comasco dall’esordio del 2009 ha cercato una via coraggiosa, quella di sperimentare, di modificare la propria formazione per cambiare prospettiva e creare quindi musica solo per passione.
Rilasciano infatti il loro primo album intitolato At The Firelight nato da un’idea del chitarrista Luca Briccola e che vede la partecipazione della Celtic Harp Orchestra per un tributo alle proprie muse musicali, così puoi trovarci dentro anche il rock progressive dei Traffic, l’Eddie Vedder del sontuoso Into the Wild e il monumentale Jimi Hendrix in una Litte Wing sognante.
Trascorrono tre anni e danno alle stampe Many Meetings at Blithe Journey, album composito di rivisitazioni di brani medievali e composizioni originali a ridare nuova luce al progressive folk.
Quindi adesso vi starete chiedendo come mai sono finiti sulle pagine binarie di Truemetal.it? Trascorsi tre anni il gruppo si ricompone in una nuova veste e con nuovi membri muovendosi verso un approccio più energico che dal rock attinge lo spirito più giocoso e dal metal passaggi distorti e fortemente evocativi, ma certamente dobbiamo immaginarci la loro musica come saldamente ancorata ai canoni più tradizionali del progressive folk per poi sporcarsi verso qualcosa di più pesante.
Senza indugiare oltre discendiamo montagne altissime e scaliamo pianure elettriche. Qualcosa non torna nella mia prosa, cercate di sopportarmi ancora un po’, ma quello che conta veramente ora è la musica.
Il primo brano di Selvadic – demo s’intitola “Where The Hawks Wait Ready” e i falchi non devono certo aspettare poi tanto a spiccare il volo, riff selvatici si espandono in note che esplodono in una follia folk ossessiva ad un passo da Bregovic… e quindi all’improvviso parte una una musica alla Bregovic (.cit Elio e le storie tese “Concerto del Primo Maggio”)… ma ci piace stavolta. Dicevamo. Il violino di Fillippo Pedretti conduce le danze e lascia il passo alle due voci, quella blues e possente di Claudio Galetti e quella di Lucia Amelia Emmanueli all’apparenza selvaggia, ma in grado di elevarsi in virtuosismi mai fini a sè stessi. Le due voci si rincorrono per tuffarsi all’unisono alle fine di un ritornello carico di energia, ma che non vuole farsi piacere a tutti costi e per questo riesce a entrarti in circolo velocemente. I Trewa ci vogliono fare danzare e se non fossi impedito dal mio portatile ci proverei pure Io, ma meglio così, le cianfrusaglie alle volte sono salvifiche.
Segue un leggiadro banjo che apre le danze in “The Awakening” ove la loro antica sinfonia è saggiamente guidata da Joseph Galvan al basso e alla batteria da Mirko Soncini che sostengono il violino mentre piroetta virtuosamente per poi dialogare con la chitarra elegante di Luca Briccola. Ancora le due voci a giocare con le anime di una natura persa in notti eterne, luci di feste lontane e innominabili ombre.
Chiudono il demo con il brano intitolato “Clayton”, un ultimo bellissimo azzardo in bilico tra un mood orientale e una folle corsa di note progressive quasi scherzassero con i canoni del passato.
Percussioni militari. Un violino lontanissimo ad annunciare la tempesta. Dal cielo squarci chitarra elettrica alzano i toni per aprire il sipario alla voce di Lucia Amelia che si colora di oriente e non è certamente da meno la voce di Claudio. Come va a finire? C’è di tutto. Camion incendiati. Elicotteri appesi al filo della corrente e una vecchietta che fa la danza del ventre, poi tira fuori una pistola e… Ascoltateli e basta.
Ci sono delle domande in sospeso, ma in realtà se avete retto la mia temeraria prosa da qualche parte una risposta la potete trovare. Tuttavia il mio compito di recensore mi obbliga a riassumere e giudicare.
La musica dei Trewa è profondamente legata a canoni antichi, quelli della tradizione folk, della musica rock progressive, ma il metal in realtà si irradia nelle partiture svelandosi in chitarre distorte e in un attitudine al non compromesso che è davvero ammirevole. Il gruppo è composto di musicisti talentuosi, i più sono polistrumentisti e così puoi trovarti in concerto tra gli altri Amelia a incantarti con il flauto oppure Luca a ipnotizzarti con il suo banjo. La loro musica è piena di virtuosismi, pur tuttavia mantenendo un’energia e un apparente semplicità che la rende sempre coinvolgente. L’unico limite di questa demo di tre canzoni può essere il loro legame stretto con la musica folk, infatti nel momento in cui si muovono verso altre influenze (vedi “Clayton”) riescono ad rendersi più profondi e personali. In ogni caso posso solo sperare che via sia un seguito (in realtà l’uscita dell’album è prevista tra settembre e la fine di quest’anno) a questo ottimo demo e di rivederli presto a danzare sui palchi innevati (?) della loro antica selvaggia speranza.
MARCO GIONO