Recensione: …Sem al Diavol Va Porti al Mal

Di Daniele Balestrieri - 19 Novembre 2005 - 0:00
…Sem al Diavol Va Porti al Mal
Band: Non Opus Dei
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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68

Viene dalla terra di Graveland questo combo di guerrieri, e naturalmente suonano Black Metal melodico/primitivo, come si confà a quella corrente dell’est Europa che combina paganesimo più spinto con suoni primordiali, grezzi come usciti dalle gelide grotte che costellano le piane rocciose delle terre baltiche.

Si sa poco su questi Non Opus Dei, ma la musica parla abbastanza chiaramente in loro vece. Suonano infatti black metal, pur non abbandonandosi mai agli eccessi delle loro controparti scandinave occidentali: i binari sono sempre quelli, ma la fortissima componente primitiva, quasi preistorica, fatta di percussioni martellanti e di tempi sempre scanditi e mai particolarmente veloci li rende quasi esponenti di quel pagan che ricorda per forma Graveland senza mai avvicinarvicisi per sostanza. Non è un album particolarmente complesso da sentire e giudicare, anzi, spesso si abbandona in piccole banalità sonore che rendono il suo ascolto una specie di parabola discendente, il cui punto più alto è proprio l’inizio. La prima canzone infatti, “About the Battle“, ricorda molto un certo gusto bathoriano per i ritmi e l’epicità, nonché la voce, quella specie di gorgoglìo disperato a metà tra il growl e lo scream, che in realtà fa tanto pagan. Già si nota inoltre un certo gusto per la ricercatezza grazie a piccoli stacchi qui e là che arricchiscono la traccia senza complicarla ulteriormente. La seguente, una delle gemme dell’album, “Wotan id est Furor” è probabilmente la più equilibrata, con una struttura melodica solida, rocciosa, in cui il cantato ben scandito in polacco conferisce delle sensazioni a metà tra l’epico e il primitivo, sensazioni piacevoli e corroboranti anche in virtù di una registrazione pulita e una produzione ben oltre lo standard delle band pagan dell’est. Eccellente e originale anche la terza traccia, “Slava Tchortu“, una canzone davvero da sentire: una banda di malandrini blatera senza sosta, ridendo malignamento e gridando, sotto un tappeto di sviolinate e percussioni selvagge – la vera essenza del pagan al suo stato più primordiale. Da qui purtroppo l’album inizia a singhiozzare, cominciando a diventare ripetitivo. “Satan’s Bard” purtroppo torna indietro nella storia della musica e nella qualità della stessa, presentando un pezzo lungo e decisamente monotono nel quale la voce si salva parzialmente, facendo però scivolare l’attenzione nella cacofonica “Satanik Statement On Good And Evil” e la seguente, un po’ migliore, “Vexilla Regis Prodeunt Inderni“, la quale può essere considerata come la canzone che raccoglie in sé tutti i semi buoni e quelli cattivi piantati nelle cinque tracce precedenti e li elabora in una traccia a tratti complicata, ma tutto sommato comune se giudicata nello scorrere dell’album.
Ah, sì, c’è anche “Ars Diavoli“, l’ultima traccia. Chi vuole ascoltarla faccia pure, io ho sputato fuori il CD dopo 15 secondi in cui per poco non mi si perforavano i timpani. Non so se è uno scherzo o cosa, ma un fischio di frequenza altissima che va e viene sarà pure arte del diavolo in persona, ma il conto della riparazione delle casse non credo di poterlo mandare a lui.

Un disco insomma tutto sommato gradevole: ho apprezzato la metà delle tracce e credo che le riascolterò spesso, poiché è un disco facilmente fruibile anche dagli alieni al genere. Non so bene che genere di strada vogliano intraprendere questi polacchi – che visto il titolo del disco in un primo momento pensavo fosse un dialetto italiano – ma possono star sicuri che il loro prossimo album non passerà inosservato.

TRACKLIST:

About The Battle
Wotan Id Est Furor
Slava Tchortu
Satan’s Bard
Satanik Statement On Good And Evil
Vexilla Regis Prodeunt Inderni
Ars Diavoli

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