Recensione: Sempiternal Void
Secondo full-length per i misteriosi – non si conosce loro il luogo di provenienza né tantomeno l’anno di nascita – Undead Prophecies: “Sempiternal Void”.
Quel che è noto, invece, è la collaborazione con la nota label Listenable Records, da qualche anno sugli scudi per via di un roster di ottimo livello qualitativo. L’etichetta è francese e tratta spesso formazioni connazionali, quindi verrebbe da pensare agli Undead Prophecies come a una formazione transalpina ma, alla fine, si tratta di un particolare del tutto trascurabile per via del genere da essi proposto.
Genere individuabile nell’old school death metal. Quello, cioè, che richiama band quali Possessed, Morbid Angel, Obituary e Death. Fautore di un viaggio a ritroso nel tempo che giunge sino alla seconda metà degli anni ottanta quando, da un brodo primordiale che mescolava assieme le due tipologie di metal estremo (black e thrash), sono stati partoriti, in primis, i Possessed, e poi tutti gli altri. Death metal ricco di parti heavy metal, perché, se di old school di deve parlare, non si può dimenticare che il richiamo al padre di tutte le fogge metalliche è onnipresente, in questo particolare stile musicale. Ovviamente gli Undead Prophecies seguono pedissequamente il succo di questo discorso, proponendo un suono che rimanda agli albori del death con una cocciutaggine ammirevole.
La voce stentorea di King Oscuro – war name come quelli dei suoi compagni, che nascondono la loro vera identità – , graffiante, emessa da un’ugola rifinita con la carta di vetro a grana grossa, evita, com’è giusto che sia, il growling; retaggio di lustri meno stantii, più recenti. Classico il lavoro delle chitarre dei due loschi figuri Necros e Noctidiurnal, concepito sia per innalzare un cupo, nero muro di suono, sia per stritolare gli orecchi con soli ficcanti e sibilanti, a volte anche melodici, rappresentativi più di ogni altra cosa dell’ortodossia metal. La sezione ritmica di Angelus e Drauhr funge da forza motrice per un sound che, a norma enciclopedica, rifugge le estremizzazioni e, quindi, i blast-beats.
Anzi, parlando di canzoni, non sono pochi i rallentamenti del ritmo, i quali strizzano l’occhio al doom come in ‘The Souls I Haunt’. Peculiarità, anche questa, del death metal quando si trovava alle origini, in grado, cioè, di abbassare la velocità per tuffarsi in cupi e tenebrosi mondi sotterranei. Con tutto ciò, lo stile che viene fuori non si può dire che sia particolarmente originale. Osservazione forse banale ma che fissa il concetto che, quando un ensemble sceglie di percorre una strada assai trafficata, alla fine ha poche armi, nel suo arsenale, per dar luogo a qualcosa di innovativo. Ciò può essere visto come positiva fedeltà alla linea, oppure come reiterazione di cliché triti e ritriti. Detto questo, “Sempiternal Void” si assesta praticamente a metà dei su citati estremi. Da una parte c’è l’assenza di sorprese che, in un modo o nell’altro, avrebbero movimentato un po’ il tutto. Dall’altra, c’è uno stile personale che identifica sufficientemente il quintetto capitanato dal ridetto King Oscuro; stile che, al contrario di altre realtà similari, non affoga miseramente nella mota che intrappola coloro che suonano tutti nello stesso identico modo. Non è molto ma è già qualcosa.
Sufficienti anche le song, tutte allineate sulla strada costruita dall’ensemble… apolide, formanti un insieme duro, compatto, costantemente intonato a ciò che si intende per old school death metal. La continuità del loro livello tecnico-artistico è garantito dalla buona lena dei Nostri, tuttavia mancano episodi particolarmente interessanti, in grado di sollevare il disco da una dignitosa sufficienza e poco più.
Solo per appassionati, tirando le somme.
Daniele “dani66” D’Adamo