Recensione: Sense Of Slaughter
Poco o nulla ci è dato di sapere sugli irlandesi Black Label, se non che si sono formati nel 2008 e l’anno successivo hanno vinto un concorso nazionale (“The Crypt Trials”) per band emergenti. Nel 2010 il terzetto registra l’EP di debutto auto-intitolato e questo è quanto, almeno fino ad ora. Dopo essersi dato molto da fare on stage in patria, infatti, il combo di Celbridge ottiene finalmente un rilevante contratto discografico con l’etichetta inglese Rising Records, che li accompagna nelle registrazioni del primo full-length: “Sense Of Slaughter”.
Poche note, che comunque farebbero pensare a una band con buona probabilità promettente, sebbene alle prime armi, considerata la rapida affermazione. Invece, come talvolta accadeva in passato e fin troppo spesso ai giorni nostri, le logiche del music business tendono a premiare e promuovere maggiormente chi non esce dagli schemi precostituiti e soprattutto chi si allinea alla ‘moda’ del momento: ciò che vende e che va per la maggiore. Poco spazio viene lasciato a chi cerca anche lontanamente di innovare o rinnovare il genere, oppure semplicemente distinguersi dagli altri con un pizzico di personalità (ma sfortunatamente questo non è il caso dei Dead Label). In altri ambiti probabilmente si direbbe vox populi per giustificare questo fenomeno, ma parlando di musica pesante, a mio parere, ciò può essere definito soltanto come bieco sfruttamento di quella che prima o poi diventerà una carcassa sulla quale accanirsi, per strapparne ogni brandello di carne e spillarne fino all’ultima goccia di sangue.
Queste considerazioni potranno apparirvi troppo dure o pessimiste: forse sarebbe meglio affrontarle trattando di musica spudoratamente commerciale e indubbiamente la stragrande maggioranza delle colpe non sono da attribuire ai gruppi stessi, che magari in buona fede compongono la musica che piace loro. Vedere però musicisti onesti o talentuosi stazionare per anni nell’underground, mentre altri ben più ordinari si affacciano al mainstream è senz’altro irritante e i Dead Label ne sono soltanto un esempio.
Certo, i tre metaller irlandesi (O’Grady, Hall e la donzella Percival) non sono degli sprovveduti o dei ragazzini alle prime armi, anzi, appaiono piuttosto preparati. In più hanno potuto beneficiare di attrezzature professionali per registrare e produrre “Sense Of Slaughter”, che gode, infatti, di suoni ottimi e moderni. Quello che lascia basiti è la pochezza di idee, il ‘piattume’ che caratterizza l’album.
La loro musica è una sorta di post-thrash/death fortemente contaminato da una componente *core (motivo per cui, forse si potrebbe parlare di deathcore, a grandi linee). Un genere piuttosto in voga tra i metaller più giovani, che però difficilmente farà la felicità di chi mastica il verbo metallico da svariati anni. Proviamo comunque ad analizzarlo più approfonditamente, partendo innanzitutto dal cantato di O’Grady: piuttosto monocorde, tranne qualche fugace growl, il vocalist punta tutto su urli puliti o filtrati in stile hardcore o al limite dello sludge. I riff di Hall, di stampo thrash decisamente moderno, con qualche rimando al death scandinavo, sono quanto di più ripetitivo (e scontato) si possa trovare in questo ambito. Sembra quasi che, dopo aver imparato alcuni dei passaggi portanti cari agli At The Gates, abbia trovato una sua formula e la ripeta fino alla nausea. Pochissime, infatti, sono le variazioni e, in più, non fa mai uso di soli (che talvolta avrebbero potuto dare maggiore respiro alle composizioni) veloci, melodici o appena abbozzati: niente di niente. Infine, la giovane Percival alla batteria, la quale contribuisce in maniera determinante a rendere il tutto monolitico e assai statico. Suono secco di rullante e tempi medi imperanti, quasi in stile nu metal e poi doppia cassa appena accennata e indolore e rarissime accelerazioni. Inutile, perciò, affrontare un track by track: dodici canzoni troppo simili tra di loro (con l’unica eccezione, ahimè, dell’intro “Dead And Gone”), tra le quali è difficile dire che una in particolare è brutta o meno riuscita delle altre, specie quando ancora più arduo è trovarne una che invece riesca a coinvolgere davvero.
Tirando le somme “Sense Of Slaughter” è un album in cui la noia la fa da padrona, quarantacinque minuti che scorrono lenti e tediosi. Difficile credere sia possibile che i Dead Label abbiano siglato così presto un contratto importante, sebbene non con una major, perché al di là di una buona preparazione tecnica, emergono inesorabili tutti i loro limiti in fase compositiva. Debutto da dimenticare.
Orso “Orso80” Comellini
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Tracce:
1. Dead And Gone 1:49
2. Sense Of Slaughter 4:16
3. Reign 4:25
4. Catchecism 2:55
5. Down Of A New Age 3:54
6. Self Immolation 3:48
7. Assume Nothing 4:02
8. Death 3:28
9. Enslavement 4:17
10. Rest In Piece 3:30
11. Raising The Veil 4:49
12. Thrown To The Wolves 4:20
Durata 45 min. ca.
Formazione:
Dan O’Grady – Voce, Basso
Danny Hall – Chitarra
Claire Percival – Batteria