Recensione: Sentry
Prima di entrare nel merito di cosa rappresentino i germano-americani Sentry, è doveroso nonché obbligatorio un ripasso all’interno della storia dell’epic metal.
Mark “The Shark” Shelton, il Signor Manilla Road, cantante e chitarrista, ci lasciò il 27 luglio del 2018, a soli sessant’anni di età dopo il concerto che tenne insieme con la propria band all’Headbangers Open Air di Brande-Hórnerkirchen.
Per portare la salma dalla Germania agli Stati Uniti venne organizzato un poi ampiamente riuscito crowdfunding al quale partecipai più che volentieri, un momento irrinunciabile che chiamò, a favore di una giustissima causa, idealmente a raduno la moltitudine dei fan dei Manilla Road.
Il gruppo di Wichita, nel Kansas, coniò una modalità peculiare di interpretare l’epic metal. Nessuna band al mondo suonava come i Manilla Road e pochissime vi si avvicinavano, spesso solamente a tratti. Il trademark impresso da Mark Shelton e soci permane unico ancora oggi. Un po’ come il suono degli Exciter con John Ricci alla chitarra e il muro degli Slayer: esclusivo e irripetibile.
Oh, poi sia ben chiaro: i Manilla Road facevano i Manilla Road ma non è che piacessero a tutti gli adepti dell’epic metal, fior di metallaroni cresciuti a pane, roboanza Manowar, Virgin Steele e Omen pur ammirando le gesta dei ‘Roads non si strappavano di certo le vesti ad ogni uscita del complesso di Wichita. Una minoranza, quest’ultima, beninteso, ma esistente.
La dipartita di Shelton, al di là del tributo avvenuto al Keep It True 2019, pareva quindi a tutti gli effetti che avesse chiuso per sempre il discorso afferente certune sonorità.
Già, pareva… sino all’avvento dei Sentry.
Sotto questo moniker, infatti, si annidano coloro i quali condivisero gli ultimi anni dei Manilla Road con Sua Maestà “The Shark”: Bryan “Hell Roadie” Patrick (voce), per vent’anni a fianco di Shelton, Andreas “Neudi” Neuderth (batteria) e Phil Ross (basso) ai quali si è aggiunto il chitarrista Kalli Coldsmith (Master of Disguise, Roxxcalibur, Abandoned).
Di fatto, mi si perdoni la blasfemia, i Manilla Road senza Mark, oggettivamente. Ci sarebbe poi da discutere, e molto, a livello di sentimenti su quanto possa essere vera l’affermazione poc’anzi riportata. Casi come Riot V, Warlord e Scavenger, per citare tre esempi di band con un nuovo album all’attivo in tempi recenti, insegnano che alla fine poi ognuno fa ciò che vuole, o che può fare. Alla faccia di tutti i discorsoni legati all’integrità, al background, allo sfregio e al sacrilegio delle icone e degli idoli. Come probabilmente è giusto che sia. Poi ovviamente ognuno può trarne le conclusioni, a seconda della propria insindacabile sensibilità.
I Sentry, moooooolto saggiamente, hanno divisato di chiamarsi semplicemente Sentry e dar parola alla musica.
Il loro album omonimo di debutto vede la luce per la High Roller Records e si accompagna, nella sua versione su Cd, a un booklet di dodici pagine con tutti i testi e delle foto dei singoli componenti la band in bianco e nero nelle due centrali più un mini poster 24 x 24 centimetri riportante per esteso la copertina a opera di Paolo Girardi a colori, rispetto a quella esterna presente sul cartonato in modalità seppia.
Nove sono i pezzi proposti, per cinquantacinque minuti di ascolto totale. Quello che arriva permane nel solco dei Manilla Road sin dalle note della prima canzone in scaletta, “Dark Matter”, come è inevitabile che sia, d’altro canto la militanza di Patrick nella band madre inevitabilmente riporta ai Signori del Kansas con i quali ha marcato a fuoco alcuni lavori ma la personalità dei Sentry emerge soprattutto nel momento in cui prendono le distanze dall’epic metal tout court di stampo marziale per addentrarsi in territori più classicamente heavy metal (“Awakening”) o doom (“Black Candles”) andando a segnare l’highlight del disco sulle note di “Valkyries (Raise the Hammers)“, il manifesto dei Sentry 2024. La cover di “Incarnation of Evil“ dei Candlemass posta in chiusura rappresenta la classica ciliegina sulla torta posta al di sopra di un lavoro solido, sebbene di non immediata assimilazione.
Se esiste una band su questa terra titolata a portare avanti l’eredità dei Manilla Road è proprio Sentry, per i motivi sopra elencati, sufficientemente eloquenti. “Hell Roadie” & Co. lo hanno fatto in maniera rispettosa e signorile, senza per questo rinunciare a essere sé stessi e rischiare di divenire giocoforza la copia sbiadita degli insuperabili maestri.
Operazione riuscita, quindi. Chapeau.
Stefano “Steven Rich” Ricetti