Recensione: Serenity
Dopo essersi presentati (con discreti successi) nei primi anni 90 con due dischi quali l’omonimo “BoysVoice” (1990) e “Dirty Talks” (1993), ed essersi sciolti nello stesso 1993, tornano in campo i Boysvoice, presentando a una dozzina di anni di distanza il loro terzo prodotto, “Serenity”.
Sin da un primo ascolto questa fatica si presenta abbastanza differente dalle due capostipiti, principalmente grazie alla voglia di un adeguamento del combo ad un sound più contemporaneo. La cosa è resa possibile, in gran parte, dalla presenza di Jochen Mayer dei Casanova, che oltre a suonare ha dato anche una mano nella produzione del platter, con effetti evidenti. Una delle cose di questo prodotto che infatti salta subito alle orecchie è l’evidente pulizia dei suoni (oltre che della voce), che se nella gran parte dei casi è piacevole, in altri lascia con l’amaro in bocca. Tecnicamente l’album è piuttosto ben fatto, discretamente suonato da tutti i membri (Mani Gruber alla voce, alla chitarra e alle tastiere, il già citato Mayer al basso e alla voce, Peter Diezel alle chitarre e, citazione particolare, Alex Hoetzinger, che alla batteria in alcuni tratti conferma di essere ottimo strumentista), pur trascurando abbastanza, a mio avviso, un aspetto non secondario quale l’originalità. Le song, come nella miglior tradizione del rock melodico, sono tutte ben orecchiabili e abbastanza radiofoniche (con qualche puntata verso il suono heavy levigato, come si può sentire in una “All About You”), colme di cori in sede di ritornello (e come non potrebbero? Peccato che alcuni siano abbastanza coinvolgenti ed altri lascino il tempo che trovano grazie alla loro freddezza) ma hanno, fra di loro, livelli qualitativi decisamente differenti. Proprio questa discontinuità, anche all’interno di una stessa song, rappresenta il peggior lato di “Serenity” : se infatti alcuni tratti di brano ci lasciano decisamente andare ad un buon ascolto (il miglior esempio di tutti, per me, è il riff di “Rocket”), altri riescono a rovinare l’intera atmosfera creatasi (a che servono per esempio quegli ultimi 15 secondi di “Lights Out” se non rendere insapore una song fino ad allora piuttosto bella?). Le canzoni presenti sono molte (forse pure troppe), ben 11, alle quali vanno aggiunte due versioni radiofoniche (migliori delle originali). Le migliori testimonianze del ritorno sul campo dei tedeschi sono a mio avviso facilmente elencabili nell’opener “Open Your Eyes”, nella seguente “Lights Out” e in “Always on my mind”, accorpate a qualche pezzo sufficente e ad altri lavori che se non ci fossero stati sarebbe stato meglio (un nome su tutti? “Best friend’s Lover”).
Peccato per questa disparità di risultati, perché se tutte le 13 song fossero state al livello di quelle buone il piatto servito sarebbe sicuramente stato discretamente corposo e di buon livello complessivo. Invece abbiamo un disco tutto sommato quasi sufficiente, che scorre bene all’inizio ma che dopo qualche ascolto non ha più nulla da dire, lasciando spazio alla voglia di sentirsi magari altri lavori del genere ma di qualità superiore, almeno questo dovrebbe succedere ai fan non sfegatati del genere. Come dire, ritorno della band sì, ma si poteva fare qualcosina di più.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) Open Your Eyes
2) Lights Out
3) Best Friend’s Lover
4) What You Get
5) Always On My Mind
6) On Your Own
7) Crazy
8) All About You
9) Only See You There
10) Too Late
11) Rocket
12) Lights Out (Radio Version)
13) Always On My Mind (Radio Version)