Recensione: Serpent’s Kiss
Secondo disco per i CobraKill, un gruppo di cinque tedeschi che credono di vivere nel 1986 in un monolocale con vista sul Sunset Strip: si dia un’occhiata ai nomi “di battaglia” scelti dai membri della band per avere una veloce conferma.
Serpent’s Kiss è un sunto di quel che furono i Mötley Crüe, i W.A.S.P., i Lizzy Borden, i RATT, e i Dokken meno class. E qui potrei anche chiudere la recensione, perché il disco suona esattamente come ve lo immaginate, forse soltanto con una produzione un po’ troppo pulita e boombastica per essere davvero filologicamente anni Ottanta.
Probabilmente, è la band di Nikki Sixx il vero riferimento d’eccellenza dei CobraKill. Bazooka suona come il classico inno laido a la Crüe che ibridizza metal, sleaze e glam, così come fa Concrete Jungle, che attualizza la lezione dei Mötley facendoli dialogare con i più contemporanei Crashdiet.
La buona notizia è che non ci sono cali lungo tutto Serpent’s Kiss, con qualche punta di buona qualità, come la cadenzata Razor Blade, o la selvaggia Same Ol’ Nasty Rock N’ Roll, che vorrebbe stare sul lato B di qualche singolo tratto da Too Fast For Love.
Seventeen (niente a che fare con l’omonimo pezzone dei Winger) è forse il pezzo più articolato del disco e maggiormente legato agli ultimi vagiti degli anni Ottanta, mentre, a farle da contraltare, ecco un Ride My Rocket che non ha mai davvero superato il 1987. Ma la preferita del recensore è la conclusiva Velvet Snakeskin: cattiva, diretta, sporca, aggressiva e dotata di una linea melodica tanto banale quanto coinvolgente, Velvet Snakeskin rappresenta bene la proposta dei CobraKill, che non posso essere i Mötley Crüe, ma fanno di tutto per crederci. Almeno loro.
Nel complesso, Serpent’s Kiss è un disco fuori dal tempo, totalmente derivativo e privo di ogni spunto di originalità. Ma si sente che è vero: e per questo va almeno degnato di un ascolto che non sia solo distratto e di sottofondo. Ormai lo sappiamo: per una gran fetta del nostro mondo musicale, gli anni Ottanta non sono mai finiti. Ed è nel riproporre quelle atmosfere oggi, in circostanze lontanissime da quelle di allora, che si concretizza non tanto la nostalgia di un genere che ripete se stesso, ma il rispetto per chi quel genere ha forgiato negli anni in cui era possibile farlo; magari diventando addirittura delle rockstar. I CobraKill non lo diventeranno: ma provandoci, si divertiranno. Facciamolo con loro.
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