Recensione: Served Hot

Di Francesco Sgrò - 23 Maggio 2013 - 19:09
Served Hot
Band: John Gält
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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74

Esordio al fulmicotone per gli ucraini John Gält, giovane quartetto che sembra aver fermato le lancette del tempo nei gloriosi anni ’80, protagonista di un album in cui le parole d’ordine sembrano provenire dalla più tipica e collaudata delle formule: “Sesso, droga e Rock ‘N’ Roll“.
Arricchito da una copertina di buon impatto, in cui risaltano ottimamente le splendide curve di una deliziosa fanciulla, questo “Served Hot“ rende onore al vecchio e caro Hard Rock più classico e stradaiolo, elevando a muse storiche gruppi fondamentali come Skid Row, Mötley Crüe ed AC/DC.
Il risultato finale dell’opera è, in verità, più che discreto: tuttavia, una produzione più aspra e polverosa, avrebbe probabilmente donato un’ulteriore marcia in più ad un platter lodevole, ma non abbastanza aggressivo nella robustezza dei suoni come invece il genere proposto richiederebbe.

I primi secondi del disco sono dedicati alla brevissima “JGS (Intro)“, assolutamente irrilevante ai fini del cd che si apre realmente con la buona “Riot Radio“, opener di piacevole ascolto impreziosita da riff chitarristici corposi e da un coro semplice ed orecchiabile, anche se forse, alla lunga, un pelo ripetitivo.
Il combo ucraino riorganizza le idee e riparte con la violenta “(One More) Punk Rock Anthem“, ottima rasoiata dominata da melodie vocali incisive che, inizialmente, potrebbero rievocare l’atmosfera della celeberrima “Kill The King“ dei Rainbow.
Il brano è inoltre impreziosito da un superbo lavoro chitarristico che accompagna l’ascoltatore al cospetto di un refrain assolutamente perfetto e coinvolgente.
Il passaggio successivo è a carico della bella “Undeniable“, la cui melodia sempre perfettamente in primo piano, ne rappresenta la carta vincente. Ancora sulla medesima scia è l’adrenalinica “White Window“, altra notevole sfuriata Heavy Rock, penalizzata solo da una produzione purtroppo incapace di metterne in risalto la giusta dose di cattiveria.

Lo spirito ruggente dei Mötley Crüe è più che mai vivo nelle note dell’alcolica “LZ Is Hot“, che, proprio come la traccia precedente, avrebbe colpito maggiormente se curata da una produzione più ruvida e d’impatto.
La qualità compositiva del quartetto è in ogni caso notevole, come dimostrato anche dalla successiva “When Nature Calls“, brano che non perde occasione di riportare alla memoria le tipiche melodie degli Iron Maiden in un intermezzo strumentale molto efficace.

L’ultima fase dell’album è costituita dalle ottime “Burn ( Nothing In The End )“, dalla turbolenta “Bad Brotherhood“ e dalla conclusiva “On The Loose“ (da non confondere con l’omonima canzone degli Europe del 1986), egregia chiusura di un album già maturo e di buon livello.
Un disco più che dignitoso che potrebbe aprire a questo giovane quartetto le porte di un interessante futuro nel panorama dell’Hard Rock ruvido e alcolico, affollatissimo, ma sempre ricettivo nei confronti di chi ne sappia maneggiare in modo adeguato e credibile i ferrei ed irrinunciabili canoni stilistici.

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