Recensione: Servitude

Di Daniele D'Adamo - 26 Dicembre 2024 - 0:00

«Prima della tragedia, nessuno avrebbe mai pensato che questa band sarebbe esistita senza Trevor»

Parole proferite dal co-fondatore Brian Eschbach che, assieme a Trevor Strnad, ha fondato The Black Dahlia Murder quasi un quarto di secolo fa. Dopo la tragica morte di Strnad, avvenuta nel 2022, Eschbach, deciso a non disperdere il grande patrimonio artistico della band nel vuoto, ha preso il posto del suo amico alla voce, ridando nuova linfa alla band stessa; dato atto che gli altri musicisti erano e sono di vecchia data e quindi attraversati dallo spirito indomito del gruppo che, con il nuovo nonché decimo album in carriera, “Servitude“, mantiene vivo lo spirito di un act dai contorni ormai leggendario. Inutile e, almeno a parere di chi scrive, paragonare fra loro i due vocalist. Per una questione di rispetto per chi non c’è più, e per chi invece c’è: i The Black Dahlia Murder con Strnad fanno parte del passato, quelli di Eschbach del presente e, si spera, di un lungo futuro.

Questa premessa, doverosa, lascia spazio alla musica. Sempre deathcore ma con un discreto depotenziamento al fine di avere la possibilità di diversificarlo in brani dalla potenza comunque esorbitante ma con l’inserimento di armonie atte a rendere più leggibile un sound spettacolare, perfetto, al massimo delle possibilità umane e tecnologiche. Come si è detto i compagni di avventura di Eschbach sono musicisti dall’altissimo tasso di tecnica strumentale, come forse non ce ne siano poi tanti, in giro. I quali, per via della loro lunga permanenza nel combo statunitense, si fondono letteralmente in uno stile che, con i ritocchi di cui si parlava, è diventato più personale, più riconoscibile. Deathcore melodico, insomma, per rendere l’idea.

Non a caso è sufficiente alzare il volume e gustare l’opener-track “Evening Ephemeral“, dall’incipit vagamente sinistro, per comprendere a quale livello tecnico/artistico i Nostri si siano insediati, e anche l’aggiunta di una forma melodica a volte più spinta, a volte più nascosta. Ma sempre presente. La pulizia del suono è impressionate, con le linee vocali di Eschbach in primo piano a guidare l’armata di Detroit. Gli assoli squarciano l’atmosfera, la sezione ritmica pompa senza pietà sfondando la barriera dei blast-beats.

Bisogna ammettere che Eschbach sia davvero bravo, con le sue harsh vocals, a prendere in mano i suoi per portarli nei territori del metal estremo ma di quello raffinato, pulito in tutte le sue componenti costitutive, adatto a un ascolto anche per chi non alberga abitualmente in tali aree. Ecco che allora compare, realizzato senza pecche, l’ossimoro fra la furia devastatrice della sezione ritmica e della parte solista (“Aftermath“). Un sollazzo per le orecchie, giacché realizzato con una perizia (quasi) senza uguali. Compaiono anche, qua è là, inserti ambient per dar vita a un mood duro, a volte cattivo, caleidoscopico nel caratterizzare le varie canzoni.

C’è anche da rilevare l’ingresso in formazione di un nuovo chitarrista, Ryan Knight, dal talento enorme per ciò che concerne la sezione puramente dedicata ai segmenti melodici e agli assoli. Un’aggiunta che, forse, è proprio quella che ha trasformato il quintetto del Michigan in un ensemble dalle spiccate qualità armoniche (“An Intermission“).

Gli amanti della potenza non si scoraggino, però: l’impatto frontale dei The Black Dahlia Murder è sempre e comunque devastante, chirurgico (“Asserting Dominion“); anche se accompagnato spesso e volentieri dai deliziosi orpelli ricamati dalla sei corde di Knight. Si si vuole lo scempio, c’è (“Servitude“), ed è di quelli che lasciano ferite profonde, preso atto del sound chirurgico che caratterizza i generi *-core. Premono la cassa toracica anche tracce come “Mammoth’s Hand“, mid-tempo allo stesso pesanti e ricchi delle pennellate della chitarra solista dalla quale, in taluni istanti, come in “Utopia Black“, spunta la foggia neoclassica (sic!).

Servitude” è un disco sorprendente in virtù della decisa impronta a tratti dolce e soave, anche se impressa su una compressione ritmica terremotante. Forse si è in presenza di un cambio di genere, poiché pare di sterzare verso il melodic death metal. Si vedrà. Intanto i The Black Dahlia Murder si mostrano in gran forma e ricchi di idee da regalare ai loro, e non solo, fan.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

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