Recensione: Seven
I Feline Melinda, da sempre, lasciano parlare i fatti. Pochi fronzoli e nessun bla bla bla da salotto ne costituiscono sin dal loro inizio, in quel del sud della provincia di Bolzano nel 1986, il modus operandi. Una carriera non pienissima di uscite né particolarmente supportata dal vivo ma tenacemente portata avanti sino a oggi dal chitarrista e cantante Robert “Rob Irbiz” Gallmetzer, unico membro della formazione originaria e dal fido sodale Chris Platzer, batterista nelle file dei sudtirolesi dal 1995. Il resto della formazione si completa con Christian Gschnell al basso e Mattia “HeadMatt” Carli alla seconda ascia, anche negli Elvenking dal 2022.
Seven, o VII che dir si voglia, oggetto della recensione, è il loro quarto album ufficiale nonché il settimo della carriera conteggiando anche gli EP e vede la luce in modalità di autoproduzione. Fa piacere constatare il ritorno, a livello di immagine di copertina, a quello che per molti è divenuto il simbolo – o la mascotte, dal momento che la tematica viene trattata in modalità assolutamente amabile e per nulla irrispettosa – dei Feline Melinda, ossia il generoso décolleté in bella vista di una procace signora. O signorina, come già proposto su Morning Dew nel 2008.
Sascha Paeth, produttore e mastermind dei Masters of Ceremony, nonché chitarrista degli Avantasia di Tobias Sammet, si è occupato del missaggio e del mastering di Seven che al momento esce nella sola modalità digitale. Il Cd fisico in versione digipak verrà stampato intorno alla metà di febbraio 2024.
Musicalmente gli altoatesini non si sono mai discostati più di tanto dalla formula a loro cara, in carriera, a partire dalla metà degli anni Novanta, quindi successiva a The Felines Await You, decisamente più votato all’heavy metal: un hard rock dalle tinte melodiche accentuate incurante delle mode e badante alla sostanza delle idee. Seven non fa eccezione alcuna e si colloca nel solco della tradizione dei Felini. Tre quarti d’ora di musica declinata lungo undici canzoni, questo propone il menu dei bolzanini.
A partire dalla traccia numero uno, “Welcome To The Show“, si ha la certezza che per l’appunto, i Feline Melinda costituiscano delle certezze – ripetizione voluta – in ambito hard rock italiano. Essi si autodefiniscono portatori sani di un mix musicale poggiante su Power e Pop metal, con un tocco di rock sinfonico e influenze AOR. Nulla di più aderente alla realtà dei fatti. I quattro si divertono ancora, incuranti delle mode e di cosa accade là fuori. Principalmente lo fanno per sé stessi, se poi vi sarà un seguito in termini di consenso bene, altrimenti… altrimenti è lo stesso: Es ist dasselbe… Für sie ändert sich nichts!
In mezzo a canzoni pienamente in linea con quanto scritto sopra spicca l’intensa ballata “Before The Dawn” impreziosita dall’intervento della voce femminile di Doris Albenberger e dall’ascia aggiuntiva di Francesco Pinter. Da citare anche l’allegra “Seventh Heaven” – nulla a che vedere con la strumentale dei Vanadium – pubblicata come singolo e accompagnata anch’essa da Doris in duetto con Rob Irbiz. La vena Power si estrinseca lungo le note di “More Than Ever” e “In the Shadow Of The Moon” mentre i rigurgiti più tipicamente HM trovano spazio dentro “Black Sun”. Per chiudere, davvero azzeccato il ritornello di “She’s Like a Thunderstorm”, un pezzo che non potrà mancare nelle prossime esibizioni live della band.
Seven: un album all’insegna della continuità targata Feline Melinda.
Stefano “Steven Rich” Ricetti