Recensione: Seven Deadly
Gli UFO sono una delle leggende viventi dell’hard rock britannico. Dopo un inizio come formazione dagli influssi cosmici e persino psichedelici, si sono caratterizzati per un rock pesante ma sempre impegnato anche sugli aspetti melodici ed armonici. Nella loro lunghissima carriera, come spesso avviene, caratterizzata anche da rivalità interne, liti e clamorosi abbandoni (fra tutti quello del leggendario e bizzoso axeman Michael Shenker), hanno portato alla luce pietre miliari del rock quali gli album Phenomenon, Lights Out, No Heavy Petting ed il live Strangers In The Night, ed un pugno di canzoni che sono diventate dei classici assoluti.
I componenti del gruppo quali Phil Mogg, Pete Way ed il suddetto Shenker hanno assunto a loro volta il ruolo di rispettate icone del genere musicale di riferimento (alle spalle, s’intende, della olimpica pole position in cui si collocano Gillan, Page, Coverdale, Iommi e così via).
Oltre quaranta anni d’onorata carriera non hanno spento, però, negli UFO la voglia di cimentarsi con canzoni novelle e materiale inedito, ed ecco così che, tre anni dopo l’onorevole The Visitor, sopraggiunge sul mercato un nuovo e fiammante full-length, Seven Deadly, in uscita per la label Steamhammer.
Il cantante Phil Mogg, con il suo inconfondibile timbro vocale (pur a fronte di uno stato di forma non paragonabile alle prestazioni dei bei tempi che furono) mantiene ben saldo il timone della band sulla rotta dell’intramontabile hard rock che l’ha sempre contraddistinta, confermando quel ritrovato stato di grazia che l’ha vista rinascere creativamente almeno da You Are Here (2004) in poi.
É però ancora una volta l’ascia statunitense Vinnie Moore, già al servizio, tra l’altro, di Alice Cooper, e da qualche anno saldamente al fianco dell’“oggetto volante non identificato”, a fare la differenza, grazie ad un impegno scintillante in materia di riff, assoli e virtuosi ricami chitarristi.
Esempi eclatanti di quanto appena affermato sono “Mojo Town” e “Year Of The Gun”, ortodossi ma comunque strepitosi hard rock blues all’inglese, nei quali troviamo proprio Vinnie Moore sugli scudi. Altrettanto dicasi per “The Last Stone Rider”, hard rock che profuma risolutamente di anni settanta.
Affascinanti ci appaiono pure “Angel Station”, una “quasi” ballata dalle inconfondibili sfumature rollingstoniane, ed anche “Waving good bye”, ballad elettrica ancora una volta impreziosita dall’assolo sfavillante della sei corde di Moore.
Forse eccessivamente canoniche, seppure piacevoli e funzionali, si dimostrano, d’altro canto, “Burn Your House Down”, slow che convince ma non avvince e “The Fear”, tipico boogie con tanto d’armonica a bocca. Anche “Steal Yourself” è un hard rock troppo conforme alle norme del genere ed ancora una volta non privo di sfumature blues, ma evidenzia un onesto contributo non solo della solita chitarra, ma pure della efficiente sezione ritmica (ancora orfana di Pete Way, purtroppo ancora “marcante visita” per i suoi noti problemi di salute).
Ma, a spazzare via ogni dubbio di stanchezza senile e di eventuale conseguente routine, ci sono “Wonderland”, con suoi riff saettanti a costituire l’impalcatura di un roccioso rock duro, e l’opener “Fight Night”, ancora granitico e cadenzato esempio di musica pesante.
“Seven Deadly” è dunque la conferma – l’ennesima – che Phil Mogg e soci non sono ancora pronti per …“Villa Arzilla”, e che, anzi, ogni loro lavoro si presenta ancore come garanzia di un rock canonico sì, ma sempre d’alta scuola, e dunque “classico” nel senso più alto del termine.
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Tracklist:
01. Fight Night
02. Wonderland
03. Mojo Town
04. Angel Station
05. Year Of The Gun
06. The Last Stone Rider
07. Steal Yourself”
08. Burn Your House Down
09. The Fear
10. Waving good bye
Line Up:
Phil Mogg – vocals
Paul Raymond – keyboards, guitars
Vinnie Moore – guitars
Andy Parker – drums