Recensione: Shades of Time
L’EP “Shades Of Time” è il quarto lavoro dei nostrani Time Machine. Non c’è dubbio che la storia del prog/heavy metal tricolore debba passare necessariamente anche attraverso lavori di questa caratura. Sia ben chiaro, i Time Machine sono conosciuti generalmente come tra le più importanti prog metal band del panorama Nazionale, ma questo “Shade Of Times”, stilisticamente parlando, riesce ad unire la vena progressiva, da sempre nelle preferenze dei musicisti dfel gruppo, ad una vena musicale caratterizzata da un’impostazione metal più classica e di matrice “eighty”. A testimonianze di quanto da me detto troveremo nel platter una cover caposaldo del movimento Heavy Metal degli anni 80 (che dopo descriveremo), e la voce nientemeno di Morby, storico heavy metal singer dei Sabotage prima e dei mitici Domine poi. Il sound che ci sarà presentato in queste 6 canzoni, come già accennato, spazia dal progressive metal di reminescenze targate Queensryche (del periodo post 1984), ad un Heavy Metal più canonico ed in alcuni tratti addirittura epicheggiante.
Il lavoro è inaugurato da Silent Revolution, e, a differenza di quanto ascoltato nei precedenti capitoli della band, già dai primissimi riff che introducono la stupenda voce di Morby notiamo un andamento più sontuoso, pesante ed ossianico, andamento per altro accompagnato anche da ottimi refrain scanditi da chorus da un sapore quasi epicheggiante. Ma è con la seguente 1000 Rainy Nights che l’act Time Machine raggiunge uno dei punti più alti dell’EP. Il brano, introdotto da ottime trame chitarristiche, ci presenta un Morby davvero inspiratissimo e capace di accompagnare, con la sua carica di epicità, la costruzione strumentale con un feeling interpretativo a dir poco unico. Ma è soprattutto attraverso il muro sonoro innalzato dal duo chitarristico Oggioni/Taccone, sempre scandito dal preciso ed ottimo lavoro di basso di Dehò, che la canzone si evolve in tutta la sua potenza sonora.
Una precisa introduzione strumentale spiana la strada alla successina New Religion, brano dall’incedere cadenzato e potente, il pezzo è un’altra prova della perizia tecnica dei vari musicisti. Il songwriting, ad opera di Dehò, risulta sempre fresco ed originale rendendo la song (come del resto tutte quelle qui presenti) molto longeva. Nella seguente Heaven And Hell i nostri addirittura tributano i gloriosi Black Sabbath dell’era Dio. I Time Machine riescono nella quasi impossibile impresa di rievocare il capolavoro della mitica band di Tony Iommi con uno spirito ed un’originalità interpretativa davvero notevole.
Fa ancora capolino l’anima tendenzialmente più progressiva del combo nella seguente Never – Ending Love, brano dall’incedere incisivo e graffiante. Il pezzo, caratterizzato da ottimi refrain, si snoda su una costruzione strumentale compatta e scandita dall’ottimo drumming del batterista Rossetti. E’ un potente riff ad introdurre il brano conclusivo del disco, ovvero Past And Future, tra l’altro già presente nell’EP di debutto e qui ripresentato in maniera abbastanza diversa dall’originale. Il pezzo, che mette in grande evidenza il sax di DellaGiustina, va così a terminare nel migliore dei modi un Ep che andrebbe sicuramente riscoperto.
Per quanto mi riguarda, Shades of Time resta uno degli dischi imprescindibili per avere una vista globale sul panorama dell’Heavy Metal italiano di una certa importanza. Il platter, in particolar modo in virtù di un compositore/bassista esperto e presico come Lorenzo Dehò e di un cantante dotato di una voce epica e calda come quella di Morby risulta essere un prodotto di indiscusso valore e pregevole fattura.
Vincenzo Ferrara