Recensione: Shadow of the Monster
Se inziassi la mia recensione così…
Gli anni ottanta non torneranno mai più, però perché non credere nei miracoli?
Non mi piace, forse sarebbe più adatto…
Gli anni ottanta stanno per tornare, preparate il gel, le scarpe antigravitazionali, il vostro hi-fi portatile a tutta volume…
No, nemmeno così…
Gli anni ottanta sono tornati, fatevene una ragione. I vinili affollano gli ultimi negozi di dischi sopravvissuti. I cartelloni di Guerre Stellari invadono le strade, soccombono i cinema e la Morte Nera vintage viene proiettata nei cieli notturni. Bistratta da alcuni e da altri sospirata la reunion o se preferite la semi-Reunion dei Guns N’ Roses diventa all’improvviso (ma non troppo) realtà riportando tra noi definitivamente l’hard rock capellone e rumoroso dei tempi che furono. Non proprio, ma in fondo la reunion stessa potrebbe creare il giusto polverone perché il movimento dell’hard-rock torni a brillare. Nel frattempo…
…nel frattempo però gli Hell in the Club ci hanno creduto da sempre, probabilmente ancora prima di diventare band. Gli esordi del 2011 di “Lets The Games Begin” omaggiavano con entusiasmo e bravura gruppi quali Poison, Skid Row, Firehouse o meglio quell’ hard rock che attraversava gli anni ’80 e ’90. Malgrado i membri degli Hell in the Club provengano da diverse importanti band italiane (Elvenking, Secret Sphere e Wratchild) non sono un progetto e infatti si ripropongono con il loro secondo disco del 2014 intitolato “Devil on my Shoulder”. Altro ottimo disco che filtra e rilegge gruppi quali i Bon Jovi e Motley Crue in uno stile tra il metal e l’hard rock. Ai nostri giorni gli Hell in the Club si ripropongono con una formazione leggermente diversa, infatti alla batteria viene inserito Marco “Lancs” Lanciotti (a sostituire Federico Pennazzato) in forza anche ai Sacred Hell, diversamente i restanti membri rimangono gli stessi dagli esordi: alla voce Davide “Dave” Moras aka Damna degli Elvenking, alla chitarra Andrea “Pico” Piccardi (ex-Seventhrone, ex-Wrathchild) e al basso Andrea “Andy” Buratto dei Secret Sphere e Ace Hearts.
Ai nostri giorni gli Hell in the Club ci riprovano con un nuovo album intitolato “Shadow of the Monster” e la copertina fumettosa disegna un mostro che ricorda il Freddie Krueger di “Nightmare” a fare da burattinaio a quattro figuri inerti: quasi a voler dire che la musica del “diavolo” possiede gli Hell in the Club e altro non possono fare se non….BALLARE!
Infatti la prima traccia s’intitola “DANCE!” e le maiuscole in fondo non so altro che note sovraccaricate di energia deflagrante in un brano che diventa fuoco d’artificio. Ricorda i Motley Crue metallizzati e caricati di un’energia che è un mix tra il folk più festaiolo e il Bon Jovi più selvaggio. Se uno pensa che sia finita qui, ha davvero capito male e la successiva “Enjoy the Ride” è un invito a salire su montagne russe senza allacciare le cinture di sicurezza, magari in compagnia di un brutti ceffo quale Alice Cooper. Che corsa!! Stremati scendiamo dalla carrozza e ci appare una sorta di vecchio west dipinto di blues a colorare il terzo brano intitolato “Hell Sweet Hell”. Di nuovo un corone versione MAXI ci catapulta in aria o meglio no è siamo di nuovo ostaggi del mostro. Così ascoltiamo senza requie anche “Shadow of the Monster” che rimanda all’ultimo Slash riletto però alla Hell in the Club. Splendido il lavoro della chitarra di Pico (in tutte le traccie), ma ogni cosa funziona alla grande come nei migliori album. Il brano centrale intitolato “The Life & Death of Mr.Nobody” prende avvio nel basso di Andy e rallenta la corsa tingendosi di colori nostalgici nello spirito, mi ricorda i migliori Ugly Kid Joe. Ora compare all’improvviso la sagoma esuberante di mr. Axl Rose, sembra guardarci negli occhi, sfidarci, sono secondi, ma ne usciamo provati. In fondo “Appetite” miscela i primi Guns N’ Roses alle melodie più festaiole di Bon Jovi. Un brano che corre tra variazioni improvvise impreziosite dall’ottima prestazione vocale di Dave Moras.
Il resto dell’album? La festa continua senza cedimenti tra i cori raffinati e giocosi di “Naked”, poi un pagliaccio ci piomba addosso inaspettato invitandoci ad un pogo selvaggio nel suo circo elettrificato. Rimaniamo scossi da “Le Cirque des Horreurs”. Le luci di quel tendone circense esplodono perché il vortice creato da Hell in the Club è una sorta di buco nero che ci attira nella sua super gravità e ci fa smarrire in tempi remoti in una danza senza requie. I titoli di coda stanno per materializzarsi, ma non è finita, infatti “Try Me, Hate Me” è una sorta di punk metal in your face. O qualcosa così. I titoli ormai scorrono verso la fine, ma si materializza un vinile roteante. Ci avvitiamo sulla cover di “Money Changes Everything” scritta in origine dai The Brains e rivisitata dagli Hell in the Club. Rispetto all’originale manca quel piglio leggermente punk dei The Brains, qui il brano viene riletto mettendo l’accento sulla componente melodica, senza mai ovviamente far venire il supporto di arrangiamenti più pesanti. Una buona cover in ogni caso.
La musica degli Hell in the Club è sospesa tra passato e presente riuscendo però a convincerci che il tempo sia semplicemente una variabile irrilevante e ciò che conta in realtà è quando la musica riesce a colorarsi di talento e personalità. Il loro ultimo album “Shadow Monster” è un susseguirsi di brani che miscelano in modo sapiente generi affini, rimandi al passato glorioso, ma quando credi di trovarti di fronte ad una melodia o ad un passaggio che rimanda ai soliti gruppi, ecco che ti stupiscono con una variazione; in fondo le loro origini toccano generi diversi come il folk, il power e l’hard rock e qui si appalesano arrichendo e donano varietà ai brani. “Shadow of the Monster” merita davvero almeno un ascolto ed è certamente destinato a imporsi tra le migliori uscite dell’anno.
MARCO “Krefeld” GIONO