Recensione: Shadowland

Di Beppe Diana - 23 Giugno 2002 - 0:00
Shadowland
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Anno: 2002
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90

Il nuovo capitolo della saga Nocturnal Rites“Shadowland”, da quello che ho potuto ascoltare, si appresta a diventare uno dei possibili high lists di fine anno, nonché uno dei platter più infuocati di questo inizio estate tanto arso quanto povero di uscite discografiche meritevoli.

 

Prima d’iniziare questa mia recensione, devo ammettere ancora una volta la mia smisurata ammirazione quanto immensa devozione verso quella band che, in tempi non sospetti, è riuscita a rilanciare le sorti del melodic power metal con quella gemma che risponde al nome di “In a time of blood and fire”. Ebbene si, all’epoca furono in molti a sorridere per le foto di copertina dove i nostri cinque giovani si atteggiavano in pose diciamo molto denhim and leather tanto da sembrare quasi inopportune, e per quei testi ammantati di un forte lirismo interpretativo che chiamavano in causa maestri del passato come Heavy Load e Overdrive, ma nonostante tutto la rinascita del movimento del new power metal (Dio che brutta parola!!!) era iniziata.

 

Dopo quel fulminante esordio, seguirono altri tre splendidi album che non fecero altro che aumentare esponenzialmente le quotazione di una band che, dopo l’inaspettata fuoriuscita dello storico vocalist Andreass Zackrisson in favore della new entry Jonny Lindkvist, sembrava aver perso di vista il proprio patrimonio musical/culturale nonché quel quit in più che li aveva fatti elevare dalla massa delle bands clone, in favore di un suono dal taglio più “moderno” e quasi thrashy che, nonostante le buone recensione ricevute un pò ovunque, è riuscito a trascinarsi dietro alcuni strascichi davvero incomprensibili. Infatti, dati di vendita alla mano, hanno dimostrato che“Afterlife” non è stato molto gradito dalla frangia più estremista dei vecchi fan dei Nocturnal Rites, che hanno additato la band di tradimento, fattore per cui si spiega il leggero, ma sostanziale, passo indietro compiuto da mr Nils Eriksson e soci, verso lidi molto più melodici ed una componente musicale che, seppur mantenendo quella parte integrante moderna, grazie soprattutto alla fantastica produzione ad opera di Daniel Bergstrand (apprezzato producer di Meshuggah e Strapping Young Lad), risulta dannatamente ancorata ai classici schemi del melodic power metal, genere al quale la band ci aveva da anni abituati.

 

E si, “Shadowland” ha senz’altro il pregio di riuscire a fondere in un unico corpo sonoro i riffs taglienti e le ritmiche serrate di derivazione by area dell’album precedente, con le magniloquenti parti sontuose e quei cori molto catchy che avevano caratterizzato le prime uscite del combo svedese, un suono insomma che riesce a spazzare via le piccole incomprensioni sorte dopo l’uscita di “Afterlife”, in più bisogna ammettere che questo è uno di quegli album destinati a fare la storia di un genere musicale in cui tutto sembra essere già stato detto o suonato, ma che nonostante tutti i detrattori, riesce ancora a regalare emozioni e a vivere di una linfa vitale che non accenna minimamente ad affievolirsi.  

 

Infatti, i dieci brani di cui si compone questo master piece sono davvero tutti di ottima fattura, in cui la ruvida e graffiante voce del bravo Jonny Lindkvist, si eleva maestosa sull’imponente muro sonoro creato dai suoi colleghi, i quali, pur prodigandosi ad erigere un wall of sound davvero impenetrabile, costruito essenzialmente sui riffs spacca ossa della coppia Norberg/Mannberg, e dove le parti di tastiere sono ridotte al lumicino, riescono a non perdere mai di vista l’aspetto melodico della propria proposta musicale che sempre più di sovente si impernia su binari sonori davvero avvincenti, come nel caso della  splendida “Invincibile”, un brano che fonde alla perfezione gli elementi di cui sopra e che alterna lisergici riffs stoppati e power chords, ad un ritornello molto  melodico che ti entra subito nella pelle dopo solo il primo ascolto, o così come nell’altrettanto avvincente “Revelation” dall’incedere molto più speedy che potrebbe fare la felicità di chi ha amato alla follia gli incommensurabili Sanctuary o i primi Queensrcvhe.

 

Traccia dopo traccia, i sei riescono a rinverdire il loro personale gusto e flavour per certe atmosfere prettamente epico/suggestive sfornando piccoli affreschi di arte musicale come nel caso della title track o delle splendide “Underworld” e “Faceless God”, ma nonostante tutto sono i brani più heavy ed “in your face” a lasciare il segno come nel caso di “Eyes Of The Dead”, “Vengeance” o della conclusiva “The watcher” che presenta delle parti di chitarra davvero degne di menzione. Insomma uno di quegli album che non si finirebbe mai di ascoltare e che continua a piacere sempre più, si perché se avevate apprezzato “Tales of mistery ed immagination” o “The sacred talisman”, quest’album fa per voi, perciò correte a comprarlo ora che Audiogalaxy si sta privatizzando, ed Enkidu ne sa qualcosa, vero?

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