Recensione: Shadowmaker

Di Stefano Ricetti - 20 Aprile 2012 - 0:00
Shadowmaker
Band: Running Wild
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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63

Sette anni dall’ultimo lavoro in studio, tre dal concerto d’addio al Wacken Open Air, più un best of e il live appena citato sia in versione Dvd che Cd. Pareva la fine di un’era, di un mito a tutto tondo del Metallo con la emme maiuscola da parte del Capitano di Lungo Corso Rolf Kasparek da Amburgo, di fatto proprietario di tutto quanto fa Running Wild probabilmente da sempre. Già, perché negli ultimi tempi parlare di band era decisamente fuori luogo: la visione romantica di un gruppo di persone indirizzate verso un sogno fatto musica non reggeva assolutamente, di fatto i Running Wild erano un solo project di Herr Rock’N’Rolf Kasparek. A rincarare la dose, poi, il nuovo corso space-punk-glam-rock di Rolf, quei Toxic Taste che lo vedono alla chitarra con l’ulteriore pseudonimo di T.T. Poison e i capelli, accorciati, colorati di rosso.

Ma, si sa, le vie del Metallo sono infinite e un bel giorno di fine 2011 il buon Rolf decide di spiegare al mondo tramite un video il perché del ritorno su disco del progetto Running Wild. L’idea è quella di fare uscire materiale relativo al vecchio catalogo del gruppo inserendo delle bonus track. Non essendoci brani di scarto o di risulta del passato da riutilizzare, Rock’N’Rolf inizia a scrivere e, si sa, da cosa nasce cosa, vista la facilità con la quale nascono i nuovi pezzi. Balza nell’aria un’idea: ma perché non riesumare il moniker Running Wild, visto che orde di fan famelici attendono in cuor loro questa notizia da anni?

Ecco quindi il nuovissimo Shadowmaker, album contenente dieci pezzi inediti e un’aspettativa fuor dal comune da parte dei defender di tout le monde. Le fortune di una band si costruiscono anche sull’iconografia, Adrian e il look piratesco insegnano ma evidentemente non abbastanza, vista la copertina minimale adottata per il disco. A onor del merito, va sottolineato che la versione limited edition in plastica completamente nera con stampato l’artwork argentato sopra fa la sua porca figura, ma è altrettanto vero che da un ritorno cotanto altisonante ci si attendeva qualcosa di ben diverso. In antitesi il booklet, composto da bei disegni – grandioso quello legato a Locomotive, che rimanda a Orgasmatron dei Motorhead – a supporto di ogni brano completo di testi ma privo di dati tecnici degni di nota per poter inquadrare al meglio anche il processo di lavorazione. Quello che si evince di significativo è che Peter Jordan abbia suonato insieme con Rolf le chitarre e partecipato ai cori. Non vi è alcuna menzione riguardo basso e batteria.     

Spararsi d’un fiato tutto Shadowmaker da zero con l’emozione alle stelle della prima volta e la salivazione azzerata equivale a fare harakiri, quindici minuti presi a caso da un disco come Black Hand Inn – il concetto potrebbe essere traslato alla stessa maniera nei confronti di Port Royal, Under Jolly Roger o Pile Of Skulls – annichiliscono le altrettante tracce targate 2012 – se prese in blocco – del project-solo Running Wild. E’ con la morte nel cuore che si prende atto che la favola è finita, morta e sepolta come qualche galeone battente bandiera nera con teschio bianco al centro in fondo agli abissi.

Non basta la rock’n’rolleggiante e particolarmente ben riuscita Piece Of The Action a sollevare le sorti di un album inconsistente, dal suono che pare artefatto – a partire dalla batteria –  totalmente privo di quell’onda d’urto metallica ribollente e fumigante che ha fatto l’epopea dei Running Wild. Patetici i tentativi di far risorgere le gesta piratesche tramite i quattro minuti e mezzo di Riding On The Tide, buona per una B-side o forse nemmeno quello nei tempi d’oro. Stessa sorte per Sailing Fire, purtroppo…
Black Shadow è talmente strascicata da risultare imbarazzante anche all’ascolto, qualche sussulto positivo lo si prova nella veloce I Am Who I Am, per fortuna. Notte fonda anche in Me And The Boys, che definire scolastica è puro eufemismo così come la lunghissima e loffia Dracula segna il passo se solo confrontata con altri celeberrimi passaggi articolati scritti nel luminoso passato di Rolf tanto che il gran riffone reggente di Shadowmaker – la title track – porta una ventata di carica positiva che sa di manna dal cielo.

Per carità, qualcosa di buono c’è, ma non basta, Shadowmaker non è all’altezza del moniker che porta in fronte  – e delle aspettative dei fan – tenendo conto che i Running Wild sono uno di quei gruppi – rari – che hanno fatto mediamente uscire lavori di alta qualità metallica. Qualche responsabilità ce l’ha pure la produzione, tutt’altro che avvolgente, che non rende giustizia ad Adrian. L’album in quest’ottica cade miseramente segnando il record di disco più brutto di una onorevolissima carriera iniziata nel glorioso 1984, dopo anni di demo, quando ancora la critica illuminata del tempo li definiva la brutta copia dei Judas Priest

A ripensare anche solo a The Rivalry – il pezzo – piuttosto che a Soulless – per fermarsi solamente a due, vengono le lacrime agli occhi… Al di là di questo, la magia del passato dei Running Wild non potrà violarla mai nessuno, nemmeno un disco poco riuscito dalla copertina nero-argento. La nota positiva è che in virtù di Shadowmaker vi sarà la possibilità di ammirali ancora dal vivo, sperando che da qui al 2013 Rolf sappia tirar su per bene le braghe…  
 

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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Tracklist:
1. Piece of the Action          
2. Riding on the Tide          
3. I Am Who I Am          
4. Black Shadow          
5. Locomotive          
6. Me & the Boys          
7. Shadowmaker          
8. Sailing Fire          
9. Into the Black          
10. Dracula      
       
 

Line-up:

Rock ‘n’ Rolf – Voce, Chitarra e chi più ne ha più ne metta…

Peter Jordan – Chitarra e cori

 

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