Recensione: Shadows Of Life
A distanza di un solo anno dalla nascita, il duo spagnolo Raul Weaver/Angel Chicote firma il contratto discografico con la FDA Rekotz per dare alle stampe il debut-album, “Shadows Of Life”. Una carriera tanto corta quanto fulminea, quindi, nel raggiungere il traguardo – molte volte solo agognato – del primo lavoro di lunga durata in studio.
Il motivo per cui alcuni riescano in tali imprese quando altri brancolano nel buio per anni, restando intrappolati in un anonimo underground, è il più delle volte ignoto. O, meglio, indefinito per via del susseguirsi degli eventi, anche casuali, che contraddistinguono la vita degli esseri umani. Una successione di fatti e circostanze che non sempre tengono effettivo conto del valore sia artistico sia tecnico di chi decide di basare la propria esistenza sulla musica. Questa sensazione d’impotenza di fronte all’evidente discrasia fra i due concetti ‘valore’/‘successo’ è quella che, apparentemente, emerge non appena si comincia l’ascolto di “Shadows Of Life”.
Sì, perché la coppia di Burgos pare essere rimasta in uno stato di animazione sospesa che rimanda direttamente alla prima metà degli anni ’90, quando i Paradise Lost mostrarono al Mondo, con “Icon” (1993), che era possibile effettuare senza traumi il passaggio doom – death – gothic. Un passaggio, anzi, che spalancò nuovi orizzonti in direzione di un metal piuttosto estremo ma soprattutto melodico, unendo perfettamente ferale aggressività a mirabolanti armonie. Allora, a un primo approccio, i Graveyard Of Soul possono sembrare null’altro che una sorta di rigurgito vintage, privo del minimo barlume di originalità e di personalità. Approfondendo l’esame del lavoro, tuttavia, a poco a poco viene fuori la qualità dei Nostri, che alla fine giustifica l’interesse di una label ufficiale come quella più su citata.
È una qualità che involve in modo particolare la scrittura delle canzoni, poiché lo stile – in effetti – non presenta grandi sussulti in materia d’innovazione: si tratta fondamentalmente di death metal melodico, ancorché poco segnato sia da cattiveria, sia da velleità velocistiche. L’ombra del doom si va vedere, fra le tracce del disco, anche se gli estesi tappeti delle keyboard ricamati da Chicote contribuiscono non poco a movimentare la struttura musicale, scuotendola per bene dagli immobilismi assoluti – per definizione – del doom stesso. Melodic death metal ‘rallentato’, insomma, ma pur sempre death metal.
Ciò che i Graveyard Of Souls non osano in termini di stile, in ogni caso ben formato e sufficientemente consistente nel rappresentare il loro marchio di fabbrica, si trova in abbondanza nei pezzi di “Shadows Of Life”. Pur non essendoci veri e propri capolavori, la media qualitativa delle varie song è tutt’altro che scarsa; potendosi pure trovare degli episodi particolarmente riusciti in tutto. La title-track è sicuramente uno di questi, con il suo elementare quanto ficcante ritornello che s’insinua come una serpe nel cervello. Il sound realizzato da Weaver e Chicote è pieno e carnoso, capace di avvolgere completamente l’ascoltatore, soddisfacente al palato grazie alla vasta ariosità delle tastiere. Ancor migliore, rispetto a “Shadows Of Life”, è “Memories Of the Future (We Are)”, dal piglio epico e dall’andamento deciso, coinvolgente in corrispondenza della trascinante strofa. Peraltro lungi, come del resto l’intera opera, di cadere nella trappola della ‘malinconia tutti i costi’, mantenendo cioè un mood profondo e riflessivo ma mai stucchevole o troppo depresso. Da citare, anche, “Dead Earth”, possente e vigorosa, evocante paesaggi e gesta da leggenda.
Certamente “Shadows Of Life” non passerà alla Storia del metal, giacché la poca originalità del sound elaborato dai Graveyard Of Souls è un difetto determinante che mina alla radice le sue possibilità in tal senso. Nonostante ciò, il prodotto nel suo complesso è ‘carino’ e merita perlomeno la dignità di menzione.
Daniele “dani66” D’Adamo
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